INCLUDERE LO SPORT
NELLA CULTURA,
UN’OFFESA O UNA
RICHIESTA DI DIGNITÀ?
Che cos’è la cultura? Si tratta forse del mero insieme degli aspetti meno pragmatici di un popolo, quelli che sembrano non influire più di troppo sulla vita quotidiana e che si relegano spesso e volentieri ai margini della sfera di importanza? O si tratta forse di un concetto più ampio, che comprende non solo questi elementi, ma anche tutti gli atteggiamenti che, in maniera comune, caratterizzano certi individui di una data provenienza, esponendoli agli occhi degli altri cittadini del mondo in modo peculiare e ben riconoscibile?
Noi italiani siamo non poco abituati ad essere vittime di stereotipi, di provenienza tanto esterna quanto interna, ad esempio nel momento in cui si ripropongono, ormai prive di ogni valore, le annose distinzioni tra nord e sud, come se una delle due parti fosse sempre in diritto di prevalere. Ebbene, nell’enorme insieme della cultura possono annoverarsi non pochi elementi, dall’istruzione, alla musica, all’arte culinaria, allo sport… Tutti collanti che dovrebbero fungere da patina protettiva di una struttura sociale che, tanto in Italia quanto in altri Paesi, spesso si trova a vacillare.
Ed è proprio intorno allo sport che, di recente, stanno ruotando certi avvenimenti che paiono fargli perdere la sua dignità, avvilendolo e trasformandolo in un “fenomeno da baracconi” ingiustamente meritevole di vergognose generalizzazioni e accuse.
Abbiamo assistito, pochi giorni fa, agli scontri avvenuti in autostrada, all’altezza di Arezzo, frabande di tifosi ultras del Napoli e della Roma, che a suon di botte e di violenze hanno intasato la circolazione costringendo le forze dell’ordine ad intervenire. Secondo fonti italiane, l’obiettivo delle tifoserie napoletane sarebbe stata Genova, dove sarebbe scoppiata una guerriglia con bande locali di altri tifosi, ma è stato l’incontro con una carovana della Roma a bloccare il convoglio in Toscana e a rendere quest’ultima teatro degli scontri. Come riporta una nota testata giornalistica, “i tifosi della Roma in transito, molto probabilmente avvisati della presenza dei napoletani, hanno rallentato la marcia fino a fermarsi all’altezza dell’area di sosta mentre una parte degli ultras del Napoli, posizionatasi lungo la recinzione, ha iniziato un fitto lancio di oggetti contundenti verso le auto presenti sulla carreggiata. Entrambi i gruppi in brevi attimi si sono spostati all’altezza dell’uscita dell’autogrill e sono entrati in contatto per pochi minuti; un tifoso romanista è stato ferito con arma da taglio e risulta in codice giallo. I tifosi romanisti dopo circa 15 minuti sono ripartiti, mentre quelli napoletani sono rimasti nell’area di servizio e successivamente scortati fino a Genova dalla polizia”.
Ebbene, in casi come questi l’Italia, il popolo, definizione che abbraccia anche coloro che di sport poco si intendono o poco vogliono sapere, si sente ferita in uno dei suoi aspetti culturali più peculiari. In che modo dunque reagire, per restituire una giustizia e una dignità che prevarichino su quelle generalizzazioni che tanto ora potrebbero nascere? “Paghino tutti i danni di tasca loro, e mai più allo stadio", commenta il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini su Twitter, mentre gli investigatori, tra i vari reati, stanno già ipotizzando quelli di interruzione di pubblico servizio e attentato alla sicurezza dei trasporti.
Nel frattempo dal Viminale tuonano parole più pesanti e, apparentemente, portatrici di cambiamento: “Massima severità nella sanzione dei comportamenti violenti e impropri e nella prevenzione, fino alla possibilità di vietare le trasferte dei tifosi, [...] è quanto ha raccomandato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi agli organismi preposti secondo quanto si apprende da fonti presenti alla riunione con il ministro dello Sport, Andrea Abodi, il numero uno della Figc Gabriele Gravina e il presidente della Lega Serie A Lorenzo Casini”. Così riporta la nostra fonte nazionale che, relativamente all’attuazione nella pratica di tali propositi, accenna ad un promettente “confronto periodico tra ministero dell'Interno, ministero dello Sport, Figc e Lega Calcio”, mentre “a disporre il divieto delle trasferte per gli incontri di calcio considerati a rischio dall'osservatorio saranno prefetti, [... e] le decisioni saranno prese in base alle valutazioni di rischio emesse dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive”.
Ecco dunque che, a livelli più elevati, governativi e amministrativi, la questione viene presa in considerazione con maggior serietà e minor tendenza ad accusare indiscriminatamente chi in qualche modo si riconduce alla sfera sportiva del calcio, come potrebbe facilmente fare un cittadino comune, propenso a bollare immediatamente non solo ciò che, con evidenza, risulta essere fuori dalle norme di logica e civile convivenza, come le guerriglie che le bande che in questi giorni si sono fatte in Toscana, ma anche tutto ciò che vi si può ricondurre.
Questo, alla fine, è dunque il compito di uno Stato, che fieramente sostiene di difendere la propria cultura: non solo applicarsi per tutelarne gli aspetti sani e risanarne quelli più corrosi, ma anche, in ugual maniera, fare da guida a quei cittadini che, in modo assai poco costruttivo, fanno attrito, con le loro infondate generalizzazioni, ad un autentico progresso sociale.
Boris Borlenghi
13/01/2023