LA CONQUISTA DI KABUL - ETTORE LEMBO NEWS

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DUE ANNI FA LA CONQUISTA DI KABUL, A QUANDO QUELLA DELLA DIGNITÀ UMANA?
Come definiremmo la nostra concezione di libertà? Si tratta di un astrattismo che vediamo come una licenza a poter agire senza preoccuparci eccessivamente di freni o ostacoli nella nostra vita privata e pubblica? Ma soprattutto, una volta considerata cosa essa sia, a chi ci auspichiamo di vederla applicata e soprattutto di applicarla? Ci preoccupiamo solamente di noi stessi e della nostra limitata sfera, curandoci di poter almeno noi godere di questo diritto, oppure guardiamo anche oltre, nel resto del mondo, valutando se davvero si stia parlando di un principio universale oppure di una prerogativa per pochi?
Proprio in questi giorni ricorre il secondo anniversario della presa da parte dei Talebani di Kabul, capitale dell’Afghanistan, e con lei l’intero Paese. Un evento storico che ha gettato una così potenzialmente fruttuosa nazione in mesi di continua e costante limitazione dei più basilari diritti dell’uomo e della società. Abbiamo assistito al passaggio di questo Paese da una condizione già piuttosto sfavorevole, o meglio, desolante, ad uno stato di cose che lo rassomiglia ad una nicchia separata dal resto del mondo, autonoma e oscura nella sua sussistenza. I Talebani sin dall’inizio dei due anni di occupazione rivendicano con orgoglio il loro operato, sostenendo in questo anniversario, come riporta una delle nostre fonti italiane, che “la conquista di Kabul ha dimostrato ancora una volta che nessuno può controllare l'orgogliosa nazione afghana, [...e ] a nessun invasore sarà permesso di minacciare l'indipendenza e la libertà dell'Afghanistan".
Vorremmo vertere l’attenzione sul termine “libertà”: nominato proprio dai Talebani stessi, viene qui inteso certamente come capacità del Paese di restare svincolato da entità esterne che ne devierebbero il corso. Se però abbassassimo lo sguardo sulla situazione interna, se ci portassimo in mezzo alle vie, alle piazze, tra la gente dell’Afghanistan, riusciremmo a percepire ugualmente questo senso appunto di “libertà” nella sua declinazione meno politica e astratta, meno internazionale, ma più pratica e fattuale, maggiormente vicina al popolo? La nostra stessa fonte, insieme ad altre, ci porta alcuni esempi lampanti di come sia in realtà la situazione, caratterizzata da “tipici segni di progresso” come “il matrimonio forzato e infantile, l'abuso e lo sfruttamento economico e sessuale, la vendita di bambini e organi, il lavoro forzato minorile, la tratta di esseri umani, [...] esecuzioni sommarie, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture e sfollamenti arbitrari”. Tutto questo colpendo soprattutto le donne, i disabili e le minoranze, arrivando, come il nostro giornale di riferimento continua, ad una “continua, sistematica e scioccante soppressione di una moltitudine di diritti umani”, che noi avremmo comunque già dedotto.
A questo punto altro non ci resta che chiamare in causa la nostra coscienza di cittadini: noi che tanto difendiamo la libertà, quanto siamo pronti a puntare il dito, con sana e doverosa critica, verso chi tradisce la dignità e la rispettabilità dell’uomo? Proprio ieri un gruppo di 30 esperti delle Nazioni Unite ha “rivolto un appello alla comunità internazionale a impegnarsi per sostenere il popolo afghano che vive in una gravissima crisi umanitaria”: come riportano i dati, si aggira intorno a 16 milioni il numero di bambini che non ricevono cibo di base o assistenza sanitaria, e intorno ai 30 milioni, il massimo storico, gli afghani bisognosi di assistenza. Le Nazioni Unite hanno poi “ribadito la richiesta [...] di restituire ad ogni donna e bambina i diritti e la dignità che spettano loro", secondo quanto dichiarato da un portavoce del segretario generale, Farhan Haq.
Nonostante queste difficoltà critiche, tuttavia, l’Emirato islamico dell’Afghanistan, questo il nome che si è attribuito, ha dichiarato che “ora la sicurezza è garantita, il territorio è controllato da un unico regime, vige un sistema islamico e tutto si applica nell'ottica della sharia". Un modo di ragionare che pare voler bendare affannosamente tutti i punti di vista esterni, in qualche modo abbagliarli, loro che dovrebbero, in quest’idea, disinteressarsi completamente della questione afghana e confidare in un sistema di governo ben consolidato e fondato appunto su principi politici e religiosi. Un sistema di governo che palesemente fa uso della pressione mediatica e sociale per mascherarsi, lasciando sorgere dubbi da ogni parte quando si cerca di andare al nocciolo della questione.
In casi come questo, quando ne va della dignità umana, del rispetto dei diritti più elementari, allora noi comuni cittadini potremmo cominciare a fare più nostre queste vicende, porvi un’attenzione e uno sguardo diverso, consapevoli che tutti noi, abitanti del mondo esattamente da pari, non possiamo sfuggire più di un tanto a ciò che accade dietro l’angolo del nostro spazio vitale, dove il superamento di certi problemi e certe difficoltà non è più scontato.
Boris Borlenghi
17/08/2023
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