Il cristianesimo è giunto al capolinea?
Alcune considerazioni sulla (non)fede del terzo millennio
C’è una domanda che ci dovremmo fare a proposito della religiosità dei nostri tempi: come hanno fatto i nostri avi a costruire chiese, conventi, monasteri, eremi quasi sempre di una bellezza straordinaria, mentre noi oggi riusciamo ad edificare delle chiese per lo più brutte, anonime e che non invogliano alla preghiera?
Con le tecnologie di cui disponiamo, dovremmo essere capaci di costruire templi grandi dieci volte la basilica di S. Pietro: salvo poi chiederci chi ci entrerebbe e se esista ancora una “domanda” di sacro nelle nostre società super-evolute.
Il punto sta proprio in questo: sin dai primi secoli dell’era cristiana, e poi via via lungo il medioevo, il rinascimento e nei secoli a noi più vicini, gli uomini hanno sempre sentito l’esigenza di rendere culto a Dio erigendo chiese di una bellezza e cura artistica squisite. Non a caso, in Italia ma anche nella gran parte degli altri paesi europei, i centri storici delle grandi città si qualificano per la presenza di cattedrali, di basiliche, di cappelle votive rinomate che costituiscono buona parte del richiamo turistico contemporaneo.
Eppure proprio queste basiliche così belle e affascinanti rischiano oggi di trovarsi miseramente semi-vuote, con poche celebrazioni liturgiche e invase solo da turisti a caccia di opere d’arte di rinomata bellezza.
Che fine ha fatto la fede oggi? Si può misurarla con il numero delle persone che partecipano alla messa domenicale?
Negli ultimi dieci-venti anni i sociologi che studiano il fenomeno religioso hanno raccolto dati non solo sulla frequenza religiosa, ma anche sull’accesso ai sacramenti base della cristianità: battesimi, cresime, eucarestia, matrimonio, ordine sacro oltre che sulle pratiche millenarie della confessione e delle preghiere rituali domestiche e comunitarie, tra cui annoverare anche le processioni come forma di testimonianza di fede pubblica e riconoscibile.
Ebbene, tali ricerche hanno confermato una progressiva e inarrestabile decadenza del “senso religioso”, con crollo di tutti i sacramenti. Ormai si sposa in chiesa poco più di un terzo delle nuove coppie di sposi, un altro terzo si sposa civilmente e i rimanenti semplicemente convivono, senza sentire il bisogno di dare una ufficialità esterna alla loro unione.
Stesso discorso per i battesimi dei bambini, neanche la metà dei nuovi nati, e a seguire i sacramenti della cosiddetta “iniziazione cristiana” (cresima, comunione) che vedono coinvolti un terzo dei bambini e ragazzi in età da riceverli.
La gente non si confessa più, ha perso il senso del peccato e non sa quasi più cosa sia, non sente il bisogno di riunirsi in chiesa per celebrare la messa. La fede cristiana non rappresenta più né un richiamo, né un “vincolo” da praticare per la salvezza eterna.
Ed eccoci arrivati al punto nevralgico dell’odierno secolarismo: nel pensiero comune non esiste quasi più il timore che per le nostre azioni cattive Dio possa “punirci” negandoci il Paradiso. Non si crede più nell’aldilà e quindi tanto il Paradiso quanto l’Inferno sono diventati due concetti vuoti, quasi una terminologia medievale, dantesca, che si studia un po’ malvolentieri alle scuole superiori e poi si abbandona per sempre tra i retaggi ancestrali.
Le grandi folle osannanti la figura del Papa sono scomparse, oggi all’Angelus della domenica si vede in tv qualche migliaio di fedeli con sparuti gruppetti parrocchiali che sollevano i loro striscioni e agitano i fazzoletti quando il pontefice li cita dalla finestra del palazzo apostolico.
Ma poi forse gli stessi fedeli andranno a messa una domenica sì e l’altra no, si confesseranno un paio di volte l’anno, parteciperanno a momenti di preghiera e silenzio una o due volte nella loro vita. Insomma, siamo diventati una società quasi del tutto “pagana”, adoriamo il vitello d’oro di Mosè sotto forma di viaggi, vacanze, cellulari all’ultima moda, abiti firmati, sessualità libera e disinibita, facilità di avere relazioni ma timore di stringere patti matrimoniali per la vita. E lasciamo da parte temi quali l’aborto, le nozze gay, l’utero in affitto, le manipolazioni genetiche, le pratiche di ridefinizione sessuale (cambio di sesso) che vengono rivendicati quali “diritti” e su cui l’elettorato in genere si divide in due.
Sembra che i capisaldi dell’etica cristiana che poggiavano sulla rivelazione biblica, sull’obbedienza attiva e consapevole ai comandamenti divini, sulla scelta di una vita personale e familiare morigerata e aperta alla nascita di tanti figli, in una parola sulla fiducia nella “provvidenza divina”, sia definitivamente tramontata.
L’uomo del terzo millennio sente di bastare a se stesso, di non avere bisogno di un Dio che non conosce e che neanche vuole conoscere. Perché perdere tempo con una liturgia che non si capisce e parla di cose “misteriose”? Che significa che nell’eucarestia ci sono il corpo e il sangue di Cristo?
L’uomo contemporaneo per lo più ritiene che si tratti di leggende, di pratiche medievali che si possono tranquillamente abbandonare. La vita va vissuta qui e ora, senza farsi domande alle quali è obbiettivamente difficile dare risposte certe.
E allora ecco le statistiche del solo 13% dei credenti che dichiara di andare a messa, del 33% che si confessa almeno una volta l’anno, del 44% che pensa che l’aborto sia un diritto …. Questa è la cristianità di oggi e ci sarà molto da aspettare prima che le chiese tornino a riempirsi di persone serene e grate, che vogliono offrire a Dio un po’ del loro tempo per ringraziarlo di essere vivi ….
Il Credente
07/07/2023