Siamo nella triste era della “post verità”
I sociologi spiegano che dalla struttura sociale basata sulla “ricerca della verità” si è passati a quella che si forma sulla “post verità”.
Con “post verità” si intende “una notizia falsa che influenza l’opinione pubblica tramutandosi in tema di discussione reale nel sistema sociale”.
Detta “falsità” può essere sia nella “notizia” che nella “negazione di una notizia vera” da parte di coloro a cui viene attribuita “credibilità”.
Credibilità che, spesso, viene ritenuta dalla maggioranza direttamente collegata al “potere”.
Retaggio, questo, del concetto di “principe illuminato” del settecento.
Dopo aver dedicato tempo a comprendere cosa, e quali effetti produca, la cultura della “post verità”, io, sempre “cittadino semplice” formato al “dubbio socratico”, sono persuaso che sarebbe assai utile ed urgente invertire la marcia e tornare alla ricerca della “verità” e su quella, solo su di essa, costruire la crescita sociale della nostra comunità.
La “post verità” è lo strumento, questo il punto di vista di un “cittadino semplice”, attraverso il quale le oligarchie pilotano la formazione del pensiero collettivo.
È attraverso il sistema dei media, televisione e web in primis, che principalmente si forma il pensiero collettivo basato sul “post vero”, il primo dei meccanismi utilizzati è la “paura”, che non è altro che l’emozione per eccellenza.
Televisione che non va intesa esclusivamente come mezzo per acquisire notizie attraverso i programmi giornalistici che, d’altronde, hanno fortemente perso il ruolo di “quinto potere”.
Televisione che è mezzo per acquisire stimoli attraverso diverse tipologie di contenuti, la maggior parte assai più subdoli del commento giornalistico.
Egualmente avviene attraverso il web.
La somma di tutti questi stimoli forma il tessuto sociale moderno.
Media, tutti, che hanno acquisito il ruolo di “manipolatori” delle menti, assai diverso da quello di “informatori”.
Detti media, nei vari programmi, usano come strumento di “indirizzo” dell’opinione pubblica i cosiddetti “opinionisti”, gli “esperti” e gli “accademici”.
Dette “professionalità” vengono rappresentate pressoché sempre dagli stessi soggetti a cui viene attribuito il compito della “ripetizione all’infinito” dei concetti.
La strategia è nota e semplice: una affermazione ripetuta all’infinito diviene “vera”, questa la struttura della “post verità” sui media.
L’Unione Europea, dichiarando di voler porre un freno alla cultura del “post vero”, ha votato una norma sui servizi digitali.
Essa affronta il tema dell’utilizzo “improprio” delle piattaforme sul web.
Il fine, almeno quello dichiarato, è di impedire, in particolare, la diffusione di contenuti che siano di “incitamento all'odio”.
In linea di principio la norma ha un fine certamente apprezzabile, purtroppo, nel triste mondo di oggi ove tutto può essere manipolato, anche il concetto di “Incitamento all’odio”, apparentemente di facile definizione, apre a “preoccupazioni” su un possibile uso censorio della norma da parte di chi ha più “potere” con conseguenze dirette sul modello democratico.
Alto il rischio, infatti, che questo concetto permetta una stringente censura da parte di chi detiene il “potere” nello Stato.
Sia il “potere” politico ma, assai maggiormente, il “potere profondo”, per esempio quello di chi può limitare a suo imprescindibile piacimento la visione di contenuti sui social network.
In questo, non così impensabile, caso verrebbe limitato, pressoché totalmente, il diritto al dissenso, il diritto di libera opinione.
Che cosa è, però, la “verità”?
Essa è la “Rispondenza piena e assoluta con la realtà effettiva”, non un concetto “emotivo”, un “fatto dimostrabile”.
“Piena” e “assoluta” con una “realtà effettiva” che nell’era del “post vero” può essere “stravolta” fino al totale “rovesciamento”.
Rovesciamento che nel sistema sociale basato sulla “post verità” può avvenire al verificarsi della condizione in cui la “verità”, rispetto ad un fatto, venga ritenuta una “questione di secondaria importanza”.
In essa il “preconcetto”, l’ideologia, predefinisce cosa sia “vero” fino a discapito della “verità”.
Alcuni vogliono definirla come “la condizione in cui una notizia, completamente falsa, ma spacciata per autentica, è in grado di influenzare una parte dell'opinione pubblica, divenendo di fatto un argomento reale, dotato di un apparente senso logico”.
Questa condizione permette di etero dirigere la collettività.
Chi può realmente farlo? Facile comprendere che lo possa fare, sembrerebbe anche assai facilmente, chi sia in possesso degli strumenti informativi.
Possiamo, noi “cittadini semplici”, temere che, in alcuni casi, vi possa essere una volontà di manipolazione a favore di “qualcosa” o “qualcuno” da parte di chi ha maggiore “forza” nel sistema socio politico economico?
È di tutta evidenza che questa preoccupazione apra il faticosissimo tema della “disponibilità collettiva delle informazioni”, della “certezza delle fonti informative” e, forse ancora di più, quello su chi governi “la divulgazione dei dati”.
Il tema non può ritenersi risolto con l’istituto giuridico del “accesso agli atti”.
Esso troppo spesso viene gestito dalle burocrazie con metodi e tempi che producono de facto la cultura più becera della “post verità”, quella legata al sospetto e non al dubbio.
Sospetto che si forma dalla alta difficoltà ad acquisire gli atti per i quali è stato richiesto accesso.
Nel mondo del “post vero” chi determina ciò che è “vero” e cosa sia “falso”?
Possiamo, sempre noi “cittadini semplici” che aneliamo il diritto democratico di poter arrivare a formare il nostro pensiero in autonomia basandolo su dati veri e certi, temere che nell’era del “post vero” il “potere vero e profondo” possa manovrarci come burattini invertendo il “vero” con il “falso” a suo piacimento, a suo interesse?
In ultima analisi questi tristi timori aprono il tema, più ampio e complesso, della comprensione delle “oligarchie intellettuali” e come esse interpretino il proprio ruolo rispetto alle “oligarchie politiche”, ancor più si apre il tema della verifica della “indipendenza” delle oligarchie intellettuali da quelle politiche.
Oggi è sempre più diffuso il “fact checking”, la definizione di notizie con il concetto di “fake news”.
A tal fine sono ritenuti attendibili, oserei dire incontrovertibili, siti che, in pochi secondi dall’emergere di una “notizia”, dichiarano se essa sia “attendibile” o una “bufala”.
Fatto che accade anche su argomenti di rilevanza penale o storica.
In alcuni casi sembrerebbe che questi siti, oltre ad indirizzare l’opinione pubblica, rischino di indirizzare anche l’operato dei sistemi giudiziari.
È di tutta evidenza che tutto questo riporta al centro il tema dell’etica della gestione del potere da parte di colui che lo detiene.
Può la cultura della “post verità” essere “etica”?
Come noi, sempre “cittadini semplici”, possiamo ritenere che il “potere”, sia esso in forma politica o militare o economica, senta in se il dovere del rispetto, reale e profondo, del “debole”?
Nel mondo del “post vero” la prima e più profonda forma di “debolezza” va trovata nell’Impossibilità del “debole” di “comprendere direttamente ed autonomamente” la “verità”.
Sono le oligarchie al “potere” che, nella maggioranza dei casi, puntano il dito contro le “minoranze” dichiarando che quest’ultime producano una idea distorta della realtà, in ultima analisi interpretino ciò che le circonda in modo, per l’appunto, “post vero”.
La gestione dei sistemi sociali complessi avviene oggi attraverso il “dominio della verità”, ciò porta a dedurre che il sistema del “post vero” sia nelle mani, e nella disponibilità, di chi è al potere. Non il contrario.
Molti, infatti, i “fatti” in cui è sempre più palese come l’utilizzo della cultura della “post verità” da parte di chi governa il potere abbia determinato la formazione del cosiddetto “pensiero della maggioranza”.
La “analisi” che dovrebbe portare all’accertamento della verità non si basa su “dati scientificamente certi”, non ha procedure e percorsi “concreti” finalizzati alla certificazione dei “dati”, prima, e del “fatto” come fine ultimo, troppo frequentemente si basa esclusivamente su “emozioni indotte”.
Il “fatto oggettivo” è sostituito dalle “convinzioni personali”.
Convinzioni che non si formano con lo studio e l’approfondimento, ma attraverso emozioni.
Far provare “emozioni” e il ruolo che svolgono gli “opinionisti”, personaggi che hanno opinioni su tutto.
La somma aggregata di queste “emozioni” forma nel sistema sociale, o in un sotto insieme dello stesso, la “post verità”.
Essa, in quel insieme sociale, è trasformato in “verità non negoziabile ne rivedibile”, in altre parole “in un assunto”.
Molti gli esempi in questi anni.
Si trova questo modello nel caso della “brexit”, nel “Russiagate” piuttosto che nel “Italygate” o nella vicenda di “Capitol Hill”, nella pandemia del “Covid” e nella conseguente “vaccinazione”.
Come non notare l’assoluta assenza di pragmaticità nelle “certezze”, sia di coloro che sono “favorevoli” sia di coloro che sono “contrari” in ognuno di questi casi?
In questi come in chissà quanti altri.
Non tanto tempo fa un antropologo mi faceva notare come la lettura storica assai frequentemente stravolge la lettura dei fatti nel momento della cronaca.
Galileo Galilei, fosse vissuto in questa triste “era della post verità”, avrebbe diviso la società civile in una maggioranza di “contrari alla sua scoperta”, tipicamente coloro che acriticamente si omologano al pensiero dominante, ed in una minoranza.
Questi ultimi sarebbero stati denominati “complottisti”.
Una minoranza che, non avendo certezze apodittiche e perseguendo la cultura del dubbio, avrebbe cercato di comprendere se nel pensiero di Galilei vi fosse la “verità” ponendo domande anche “fastidiose per il potere”.
Copernico, uomo del potere leso nel suo ruolo da Galilei e da chi lo avesse messo in discussione, avrebbe chiesto alla magistratura di proteggere la sua posizione.
Il magistrato avrebbe fatto un “fact checking” compulsato i siti specializzati nella verifica delle “bufale”, infine avrebbe rinviato a giudizio gli amici di Galilei e dichiarato il suo pensiero “complottista”.
Questa la rivisitazione allegorica in salsa moderna e “post vera” di quegli anni della metà del 1600.
Trecento anni più tardi, nel 1900, i “complottisti” sarebbero divenuti “eroi”.
Tornando agli ultimi anni, chi ha memoria delle dichiarazioni a tutela del generale Flynn dell’allora Presidente Trump?
Dichiarazioni subito definite “bufale” dal “fact checking”.
Il generale Flynn fu arrestato e massacrato dai media occidentali ed il professor Mifsud sparì nel nulla.
In questo 2023 la magistratura statunitense ha dichiarato innocente il generale Flynn.
Qualcuno ha visto i media amanti del “fact checking” chiedere scusa e pagare pegno?
Ovviamente no!
Quel caso è stato denominato “Russiagate”.
Io, “cittadino semplice”, nello studiare questi casi, nello studiare la “norma europea sul incitamento all'odio”, nel continuare a chiedere a me stesso chi possa decidere per tutti quale sia la “verità”, mi chiedo come possa essere possibile vivere nella triste melassa della “post verità”.
Post verità che, troppo spesso, vede un “potere” che non da risposte ai cosiddetti “complottisti”.
Io, per esempio, sempre “cittadino semplice”, vorrei tanto essere rassicurato sulle cause dell’incremento percepito di “morti improvvise” in questi ultimi dodici mesi.
Che la politica, il “potere”, ricuperi l’etica, non è suo il ruolo di decidere per tutti su ciò che sia “verità” o “falsità”, il suo compito si limita a quello di garante delle regole.
Regole che valgono per tutti, anche per il “potere”.
Ignoto Uno
24/10/23