Verso un “Capodanno” diverso
Tutti noi festeggiamo il Capodanno.
Probabilmente non tutti ricordano cosa realmente esso rappresenti da un punto di vista biblico.
Nel Vangelo di Luca, per chi volesse approfondire al (2,21), vi è scritto che Nostro Signore Gesù Cristo, nel rispetto della prassi ebraica della “Milah”, venne “circonciso l’ottavo giorno dalla nascita”.
Fu durante quel atto rituale che al neonato venne dato il nome di “Gesù” il cui significato in lingua ebraica significa “salvatore”.
La “circoncisione” è l’atto con cui un maschio entra giuridicamente a far parte del popolo ebraico.
Questo momento della Sua vita è ricordato nella festa liturgica celebrata il 1º gennaio del calendario giuliano ed il 14 gennaio del calendario gregoriano.
È, conseguentemente, momento unificante del popolo dei Cristiani.
Per i credenti è una festa che celebra la prima occasione in cui Gesù “donò il sangue per l'umanità” e ricorda “l'obbedienza” di Gesù a Suo Padre, l’Onnipotente, ed alle antiche leggi.
Leggi che con Lui, ed attraverso di Lui, ed alla Sua Passione e Resurrezione, trovarono la loro fine per essere riscritte, in continuità, nel Nuovo Testamento.
Nostro Signore Gesù Cristo visse nel rispetto delle leggi e delle tradizioni ebraiche, banalmente perché era ebreo.
Questo assunto ha delle “conseguenze”.
Spesso, troppo spesso, nella storia del cristianesimo, antica e recente, questa ovvietà venne, e viene, dimenticata.
Fu un grande Papa a ricordarcelo nei tempi recenti, quel, oggi Santo, Giovanni Paolo II, durante quella prima storica visita alla Sinagoga di Roma, ove il 13 aprile 1986, di fronte al Rabbino Capo, professor Elio Toaff, aprì il suo intervento con “cari amici e fratelli ebrei e cristiani, che prendete parte a questa storica celebrazione”.
Quel grande Papa, in quella occasione, volle omaggiare il professor Toaff con queste parole “Mi è poi ben noto che il Rabbino Capo, nella notte che ha preceduto la morte di Papa Giovanni, non ha esitato ad andare a Piazza San Pietro, accompagnato da un gruppo di fedeli ebrei, per pregare e vegliare, mescolato tra la folla dei cattolici e di altri cristiani, quasi a rendere testimonianza, in modo silenzioso ma così efficace, alla grandezza d’animo di quel Pontefice, aperto a tutti senza distinzione, e in particolare ai fratelli ebrei”.
Egualmente ricordò il giorno in cui Giovanni XXIII, Papi entrambi titanici quei due, volle far “fermare la macchina per benedire la folla di ebrei che uscivano dal Tempio”.
Karol Wojtyła, come tanti lo continuarono a chiamare, in quello storico momento parlò “dei secolari condizionamenti culturali” che “non possono tuttavia impedire di riconoscere che gli atti di discriminazione, di ingiustificata limitazione della libertà religiosa, di oppressione anche sul piano della libertà civile, nei confronti degli ebrei, sono stati oggettivamente manifestazioni gravemente deplorevoli”.
Ricordò il decreto Nostra Aetate in cui vengono deplorati “gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei ogni tempo da chiunque” e, con quella indimenticabile forza e chiarezza della parola, ricordò l’olocausto di milioni di vittime innocenti durante la seconda guerra mondiale.
Durante quell’incontro il Papa disse che “la religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”.
Quel “fratelli maggiori”, così biblicamente complesso, causò qualche “mal di pancia”, ma, preso senza una lettura simbolica, ricordava a tutti quanto il popolo di fede ebraica e quello cristiano siano uniti ed in continuità fra loro con Gesù Cristo, il “Salvatore” per chi in Lui crede, come “passaggio” ma, anche, “unione”.
Il Concilio Vaticano II, momento cardine per i cattolici, definì gli ebrei come un popolo a cui non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettiva per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”.
Il giorno di Capodanno, oltre alla festa profana, al cotechino ed alle lenticchie, a quel rito del mangiare dodici chicchi d'uva come simbolo di buona fortuna e prosperità nel nuovo anno, esattamente dodici come gli apostoli, ai fuochi di artificio, è, anzi per i credenti soprattutto dovrebbe essere, il momento di rimembranza di quel momento di duemila anni fa e delle sue conseguenze logiche.
Oggi l’antisemitismo torna a sentirsi presente ed evidente nel mondo dei cristiani.
La rabbia nei confronti dei “fratelli maggiori” torna ad essere palese, addirittura, in alcuni casi, dichiarata.
Incredibilmente riappare sin dal soglio di Pietro. Come interpretare alcune affermazioni pubbliche di Papa Francesco e di sacerdoti in queste settimane?
Affermazioni che hanno causato la reazione delle comunità ebraiche in occidente, in particolare di quella di Roma.
Recentemente, con tristezza, a causa di un intervento del successore di Pietro sulla crisi in medio oriente, crisi che ha preso origine dal massacro del 7 ottobre e che, tuttora, vede nelle mani dei terroristi di Hamas un abnorme numero di “rapiti”, non “ostaggi”, l’attuale Rabbino Capo di Roma, il professor Riccardo Di Segni, ha dovuto dichiarare “no a equidistanze inopportune”.
Frase, purtroppo, anche essa “storica”.
Simbolo di un essere tornati ai tempi bui ove si usava dimenticare che Nostro Signore Gesù Cristo fu “circonciso”.
Per questo, io “cittadino semplice”, credente in Cristo e solo in Lui, sento forte in me le parole che quell’immenso teologo di cui tanto si sente la mancanza che fu Papa Benedetto, il 17 gennaio 2010, durante la seconda ed ultima visita di un Santo Padre alla Sinagoga di Roma, dichiarò “venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo”.
Parole che sembrano “dimenticate”, oggi certi ambienti cattolici di “potere” prediligono i rapporti con personaggi quali Casarini e strane dazioni economiche a strane ONG.
Quelle dei “traffici di migranti”, non “dell’aiuto ai più deboli” e, speriamo, non emerga altro.
Quello che la Procura di Ragusa ci ha costretto a leggere, a noi “cittadini semplici”, è bastato ed avanzato per tornare sul Libro in autonomia da certi, anche loro, “strani maestri”.
Il capodanno, però, è oramai vicino e, con lui, speriamo, ancor più in questi momenti così “tristi”, che il detto “l’ultimo dell’anno porta via i mali di tutto l’anno” si avveri.
Io, sempre “cittadino semplice”, in attesa di festeggiare il Santo Natale nell’alveo delle tradizioni antiche cristiane occidentali, mangiando di magro la Vigilia e nel fragore degli affetti il giorno della nascita di Nostro Signore, fra uno spumante ed un panettone di fronte ad un camino adornato da un albero di Natale ed un presepe composto di antiche statuine rituali, auguro a me stesso un 2024 colmo di “novità”.
Ben sapendo che il 2024 sarà un anno pieno di date e momenti che potrebbero essere storiche per l’occidente tutto.
Oggi, nel vedere la pochezza che circonda noi “cittadini semplici”, la tristezza di un urlare vuoto che cerca di stordirci, nell’essere assai annoiato dai tanti “uomini di potere” che piegano la storia del mondo ai loro interessi personali, auguro a tutti voi, a tutti noi, che l’anno che verrà ci doni, in fondo si voterà in tanti Stati centrali per il mondo, governanti con quel senso della “morale antica” e riporti a chi deve governare le genti tutta la saggezza della ricerca, della pace e della unione fra i popoli.
Ignoto Uno
11/12/2023