Il bivio del 2024: accordi di pace o guerra mondiale
L’anno dei, probabili ed auspicabili, “grandi cambiamenti” è iniziato.
Saranno 4 miliardi,il 51% della popolazione mondiale, 76 Stati, le persone chiamate ad inserire una scheda nell’urna durante il 2024 per eleggere, in molti casi si fa per dire, colui che li dovrà governare negli anni a seguire.
Oltre all’Unione Europea, agli Stati Uniti ed alla stessa Federazione Russa, andranno al voto otto dei dieci paesi più popolosi al mondo.
In Africa voteranno in diciotto Stati.
Si dovrebbero tenere nel 2024, ma la legge marziale e lo stato di guerra fanno pensare che Zelensky preferisca rinviarle, anche le elezioni politiche in Ucraina.
Il tema delle “autarchie” e dei “massivi brogli elettorali”, questi ultimi anche in USA e nelle recenti elezioni di nazioni UE27, è sempre più presente e sentito dai corpi elettorali.
Il tema della democraticità e veridicità del momento elettorale, come stiamo vedendo nella campagna elettorale statunitense in corso, non riguarda esclusivamente le autocrazie, riguarda tutti.
Certamente riguarderà la Federazione Russa, certamente riguarderà la Repubblica di Cina, più giornalisticamente nota come “Taiwan”.
È stato proprio il leader della Repubblica Popolare di Cina, quella con capitale Pechino, Xi Jinping, nel discorso di fine anno, a ribadire la posizione del suo governo su Taiwan dicendo “la riunificazione della madrepatria è una necessità storica. I compatrioti, su entrambi i lati dello Stretto, devono unirsi e condividere la grande gloria del ringiovanimento nazionale”.
Parole minacciose, basate sui concetti di una unica “madrepatria” e sull’esistenza di “compatrioti su entrambi i lati dello stretto”, a cui hanno fatto seguito l’incessante utilizzo di palloni aerostatici spia che hanno sorvolato, provocatoriamente, Formosa, l’isola principale del piccolo Stato democratico asiatico.
Parole e comportamenti che creano preoccupazione a chi, “cittadino semplice” quale io sono, ha la consuetudine di studiare ed analizzare numeri e non parlare ideologicamente.
Tenere questo, poco frequentato ma certamente saggio, comportamento, permetterebbe di comprendere, temere, che la crisi economica strutturale della Repubblica Popolare Cinese, abbinata al molto probabile “rischio” di perdere un avversario “morbido”, quale è l’amministrazione Biden, potrebbe portare Pechino ad iniziare una operazione militare basata su una “formale” richiesta di aiuto da parte di “compatrioti” in pericolo a Taiwan.
A questo alto rischio si contrappone Biden che, sempre I ben informati, sarebbe assai assente alla Casa Bianca, fatto che permette al cosiddetto Deep State, a guida Obama, di governare al suo posto.
Obama che, nessuno lo nega più, è, sin dai tempi in cui era direttamente al potere, molto “amico” di Pechino.
Molti statunitensi inorridirono allorquando, vi sono immagini televisive a tal proposito, adornò personalmente l’albero di Natale della Casa Bianca con una immagine che ritraeva Mao Tse Tung.
Cambiando scenario, come non ricordare che la parola “controffensiva” è stata la più usata dai politici occidentali e dagli “opinionisti” nel rappresentare il conflitto in terra di Ucraina in questo ultimo semestre.
Controffensiva a lungo narrata come una “cavalcata delle Valchirie” ove l’esercito russo sarebbero stato distrutto dagli “imbattibili patrioti ucraini”.
Solo a titolo di esempio, tanto per riportare alla memoria degli “smemorati” i toni di questi mesi, ecco cosa scriveva, sui suoi social, il Segretario di Stato statunitense Blinken in data 11 ottobre “Ad oggi l’Ucraina ha riconquistato più della metà del territorio preso dalla Russia dal 2022”.
Al tempo il colonnello Giorgio Stirpe, analista militare italiano presso la NATO, ora in pensione, andava per studi televisivi a presentare il suo libro in cui rendeva edotti tutti noi “cittadini semplici” sulle motivazioni per cui “Putin avesse già perso il conflitto in Ucraina”.
Chi, timidamente, al tempo provava a contraddire la “narrazione” veniva sbertucciato dai soliti “opinionisti”.
Eppure coloro che provengono da studi militari, sottovoce e di nascosto, ovviamente senza nessuna visibilità mediatica utile a permettere nell’opinione pubblica il formarsi una libera idea, già al tempo, rappresentavano come, dal loro punto di vista, l’esercito russo stesse “gestendo” il momento tattico e stesse nella realtà in forte vantaggio militare.
Al tempo venivano denigrati come “filo Putin”, erano esclusivamente “più intellettualmente onesti”.
Oggi è assai palese che il popolo ucraino non è in condizione di vincere la guerra da solo e che l’occidente non è più in grado di supportare finanziariamente e militarmente il conflitto ucraino a lungo.
Questa guerra rischia di durare molto a lungo, fatto assai pericoloso per l’europa.
Oltre a questi due scenari, quello cinese e quello ucraino, vi è quello medio orientale con il connesso rischio iraniano e yemenita.
Del 3 gennaio scorso la notizia che il Regno Unito sarebbe pronto ad unirsi agli Usa per lanciare attacchi aerei contro lo Yemen e le basi degli Houthi, terroristi filo iraniani, dal Mar Rosso.
Uno spazio di mare ove, oramai, quotidianamente si susseguono attacchi da parte di questi terroristi non solo a navi commerciali ma, fatto molto preoccupante, a vascelli della Marina militare statunitense.
Venti di guerra, non venti di pace.
Questo è il 2024 oggi.
La vera domanda, di un “cittadino semplice” quale io sono, credo debba essere “chi abbia la necessità di far scoppiare un conflitto mondiale”.
Io, sempre “cittadino semplice”, abituato a costruire le mie opinioni sui numeri puri e non sulle ricostruzioni dei vari “opinionisti”, nel provare un certo “sorriso” nel vedere come i media nostrani stiano iniziando una “virata” sia in ordine alla guerra in terra di Ucraina sia in ordine agli Stati Uniti di Biden, vedo proprio nella profonda crisi economico finanziaria cinese e nella concomitante crisi di ceto politico in Stati Uniti ed in Europa le cause di questo, assai presente, rischio di escalation militare.
Le politiche, cosiddette “globaliste”, in politica economica di queste amministrazioni occidentali, tutte, legate a filo doppio a quella di Pechino, hanno prodotto la catastrofe in cui noi “cittadini semplici” dobbiamo sopravvivere, non più vivere.
In questo scenario, oggi che si intravvede la seria possibilità che il più acerrimo “nemico” del globalismo, quel cattivone di Donald Trump, per molti in Stati Uniti anche oggi “vero Presidente”, possa tornare alla Casa Bianca, non si può escludere che a qualcuno dei più potenti sia potuto venire in mente che con una “bella guerra”, così la si sente chiamare in certi ambienti, sia possibile “rimanere al potere”.
Uno scenario globale, un rischio globale, quello che chi, pro tempore, è chiamato a governarci deve gestire in nome e per conto degli italiani, solo degli italiani.
A tal fine come non accorgersi della necessità che il mondo giudaico cristiano sappia ritrovare i suoi storici equilibri.
Come non ricordare il boom economico occidentale durante la guerra fredda?
Come non ricordare la stabilità economica, e del cosiddetto ceto medio, in tutto l’ovest dopo l’incontro di Reykjavik?
Come non comprendere che a noi italiani, ed all’Europa tutta, serve iniziare un percorso di trattativa con la Federazione Russa che vada molto oltre la soluzione del conflitto in terra di Ucraina.
Un tavolo che superi gli accordi di Yalta e produca, nel nostro occidente, una pace di lungo periodo.
A Yalta gli Stati Uniti furono rappresentati da un presidente capace di gestire potere e mediare con l’alleato/nemico Stalin, era Franklin Delano Roosevelt, un democratico capace.
Oggi, forse, nel caso, per fortuna, il 2024 dovesse archiviare la parentesi Biden in Stati Uniti e ridare a tanti nel mondo un vero leader occidentale quale è il Presidente Donald Trump, potremmo sperare in una nuova Yalta, in una nuova Reykjavik, e, con buona pace dei tanti “tifosi”, nei media e nelle cancellerie, certamente nella nostra amata Italia, di questa “era globalista”, inizierà il tempo della “ricostruzione”.
Ricostruzione basata sul pragmatismo della “verità” e non sull’ideologia militante.
Ricostruzione che, come la storia ci insegna, si basa sul dialogo fra contrapposti.
Ricostruzione che, come la storia, ovviamente per chi studia e non interpreta, ci insegna, porta stabilità e benessere diffuso.
Ricostruzione, la nostra amata Italia ne ha così tanto bisogno, non solo materiale, ancor prima morale ed intellettuale.
Ricostruzione che, non potrà che andare così, si baserà sul reciproco rispetto e la reciproca credibilità dei leaders politici negli Stati.
Queste furono le precondizioni che hanno consentito settanta anni di pace e benessere al nostro occidente.
Anche alla nostra Italia che, a quei tempi, aveva uno statista a guidarla,quel De Gasperi che, leader di una nazione sconfitta, fu ritenuto “credibile” dai vincitori e, proprio per quella sua caratteristica, poté porre le basi socio economiche della ripresa della nostra nazione.
Basi che permisero il formarsi di forti alleanze e grandi successi italiani nel mondo.
Avrà il mondo intero il tempo per vedere arrivare alla Casa Bianca un uomo che parli di pace e stabilità e non di guerra e morte?
Avrà l’Italia uno statista del calibro di De Gasperi capace di pensare veramente alle sorti della propria Patria?
Oggi le nubi sono sempre più nere, chi può faccia fermare questi inutili rischi.
Ignoto Uno
05/01/2024