TUNNEL ITALIANI, FRANCESI E DI CHI? DELL’INCOERENZA.
Una delle virtù principali di un Paese dovrebbe consistere nella sua capacità di relazionarsi con le altre Nazioni intorno ad esso, al di fuori, costruendo rapporti di tipo economico, sociale e culturale. La nostra cara Italia, così ricca di potenziale sotto ogni punto di vista, si ritrova negli ultimi decenni a faticare per mantenere alta la testa in un’Europa che, sempre più frammentata, tenta gradualmente di sottometterla e di farle perdere quel valore di colonna portante.
Proprio negli ultimi tempi stiamo assistendo al susseguirsi di eventi che, uno trascinando l’altro, mettono sotto i riflettori dell’attenzione pubblica alcuni evidenti problemi di carattere appunto internazionale: si tratta della questione dei trafori che collegano l’Italia alle nazioni confinanti attraversando le Alpi.
Dopo i recenti episodi di maltempo, in un primo momento siamo restati stupefatti dall’entità dei danni ad essi causati, mentre in seguito non è mancata quella che sembrerebbe una beffa: il ritorno all’attenzione pubblica di una serie di lavori di ripristino dei tunnel e la loro conseguente posticipazione all’anno prossimo, dovuta sia alla necessità di tempo per ripristinare i danni naturali, sia soprattutto dovuto ad una migliore gestione dei flussi di traffico. Occorrevano necessariamente queste disgrazie per “perfezionare i calcoli” relativi al da farsi?
Come riporta una nota testata giornalistica italiana, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scritto sulla piattaforma X che “la Conferenza intergovernativa Italia Francia, che con la collega Catherine Colonna (ministra degli Esteri francese ndr) aveva fatto convocare [...], aveva appena concluso i lavori con successo: deciso il rinvio di un anno della chiusura del Monte Bianco, portando avanti al tempo stesso i lavori necessari alla sicurezza". Lavori che consistono nell’impegnativo rifacimento di alcune intere sezioni che, secondo il progetto originale, avrebbero costretto il tunnel a restare chiuso almeno fino a dicembre, il tutto ripetendosi ogni anno arrivando al 2040. La decisione di rimandare è stata presa dalla commissione intergovernativa (Cig), composta di rappresentanti dei ministeri italiani e francesi.
In tutto questo, quali potrebbero essere le ripercussioni economiche per l’Italia e per la Francia? Questi primi giorni di apprensione dopo gli eventi climatici avversi hanno congestionato il traffico presso i tre più importanti trafori alpini, quello del Frejus, quello del San Bernardo e quello del Monte Bianco, arrecando ingenti perdite economiche a causa dell’impossibilità dei trasporti di merci di spostarsi agevolmente e soprattutto secondo i tempi prestabiliti. La decisione di rimandare l’inizio dei lavori all’anno prossimo ha evitato che, non appena trovata la soluzione ai danni del maltempo, subito si dovesse assistere di nuovo ad ulteriori difficoltà stavolta imposte dalla burocrazia che male ha calcolato i tempi di esecuzione. Tuttavia i risultati, in qualsiasi momento inizieranno i lavori, già da subito vengono dati come certi e di indiscussa efficienza, come riporta la nostra stessa fonte, secondo cui “le due concessionarie SITMB e ATMB continuano a lavorare con le autorità dei due Paesi per proporre, in occasione della realizzazione di questi importanti lavori, le migliori soluzioni alternative di collegamento tra l’Italia e la Francia".
Tutto lieto, dunque, tutto risolto con la risistemazione dopo il maltempo e il rinvio della manutenzione? Non esattamente, per il semplice fatto secondo cui due Paesi confinanti, quali l’Italia e la Francia, prima di affermare e contraddirsi, potrebbero e dovrebbero tenere conto insieme di quelle migliaia, se non milioni di persone che i trafori li utilizzerebbero su base regolare, ma allo stesso modo tener conto delle ripercussioni economiche derivate da tutto questo, e che certamente ne saranno il più evidente segnale.
Noi cittadini semplici, noi potenziali viaggiatori, attraversatori di quelle gallerie, come dovremmo giudicare un sistema tale per cui le novità cambiano quasi arbitrariamente e con scarso preavviso, in cui nemmeno si riesce a capire con chiarezza ciò che verrà e non verrà fatto? Come dovremmo giudicare un sistema che chiede il pagamento di pedaggi astronomici ma non garantisce coerenza e serietà nella gestione pratica delle infrastrutture? Poniamoci domande, cerchiamo in maniera autonoma di filtrare quanto più possibile ciò che viene dalle fonti esterne, distaccandoci da quello che è il pensiero comune del mass media che tende ad infangare e ad elogiare pressoché a piacimento.
L’Osservatore
08/09/2023