IN NORD COREA
VITTORIA SUL COVID,
IN DITTATURA…
E DA NOI,
IN DEMOCRAZIA?
Dall’inizio della pandemia si sono aperte due correnti di pensiero diametralmente opposte, che tuttora si accusano a vicenda di estremismo e caratterizzano, in modo amplificato, quel dissidio che un comune cittadino avrebbe affrontato in quel periodo: da una parte l’idea secondo cui il virus, devastante morbo che assediava tragicamente la vita umana, sarebbe stato debellato dalle misure drastiche e coraggiose dei politici al governo; dall’altra la convinzione per cui il covid altro non fosse che una farsa, o comunque un’esagerazione, escogitata da chi siede sugli altri scranni della società al fine di mettere in ginocchio gli onesti cittadini. Certamente va ricercata, in mezzo a questa contesa di pensiero, una via mediana che possa riconoscersi come logica, fedele alla realtà e priva di estremismi da una parte e dall’altra. Proprio per riuscire a fare ciò occorre porsi delle domande, e mettere in dubbio legittimità, necessità e utilità di ogni aspetto che ci circonda, specialmente riguardo il covid.
Ci giunge nelle ultime ore la notizia secondo cui la Corea del Nord abbia ufficialmente dichiarato la vittoria sull’ormai noto virus: come riporta una nota testata nazionale intorno alle parole del presidente Kim Jong-un, "dopo quasi due settimane senza alcun caso ufficialmente registrato nel Paese, presiedendo un incontro con personale sanitario e scienziati, Kim ha accolto favorevolmente questa ‘vittoria nella guerra contro la malattia pandemica maligna’, secondo l'agenzia di stampa ufficiale Kcna". Queste le parole del dittatore: "La vittoria conquistata dal nostro popolo è un evento storico che ha mostrato ancora una volta al mondo la grandezza del nostro Stato, la nostra indomita tenacia e le belle usanze nazionali di cui siamo orgogliosi". Certamente viene da pensare che si tratti dell’ennesimo gesto di propaganda politica, dell’ennesimo tentativo da parte di uno dei più oscuri capi di Stato al mondo di apparire leader vittorioso alla guida di un popolo che, a differenza degli altri, "ce l’ha fatta". Come continua a spiegare la medesima fonte, "Kim Yo-jong [sorella di Kim Jong-un] si è scagliata contro l'invio di volantini di propaganda tramite palloncini dal Sud definendolo un ‘crimine contro l'umanità’, [...] e ha affermato che molti Paesi e l'Oms hanno riconosciuto ‘il pericolo di diffondere una malattia infettiva entrando in contatto con oggetti contaminati: è molto preoccupante che la Corea del Sud invii volantini, denaro, opuscoli e oggetti sporchi nella nostra regione’, ha aggiunto. Kim Yo-jong ha avvertito che Pyongyang sta valutando ‘una forte rappresaglia’". Un’altra testata giornalistica riprende dalla BBC le parole della sorella del presidente riguardo il capo di governo stesso: "Anche se era gravemente malato con la febbre alta, non riusciva a riposarsi un attimo pensando alle persone di cui doveva prendersi cura fino alla fine della guerra contro l'epidemia".
Conclude la fonte iniziale riportando i dati per cui "la Corea del Nord ha registrato quasi 4,8 milioni di infezioni dalla fine di aprile, con appena 74 decessi e un tasso ufficiale di mortalità dello 0,002%, secondo Kcna".
Ebbene, se si provasse a contestualizzare nella nostra società questo gesto, ad esempio attribuendo ad uno dei nostri governanti le parole del dittatore nordcoreano, come lo giudicheremmo? Se pensassimo ad un presidente qualsiasi che in un Paese democratico si esprime con "il nostro popolo ha vinto contro un tremendo virus dimostrando tenacia e determinazione", ci scandalizzeremmo come di fronte ad un dittatore o ne gioiremmo come di fronte ad una frase rincuorante tanto desiderata? E siccome la maggior parte degli italiani ne gioirebbe, chiaramente riconoscendo quel fondo di verità per cui veramente si sono fatti passi avanti contro la pandemia, per quale motivo le stesse persone si scandalizzano oggi davanti a parole uguali ma dette da un dittatore? Non si dice che occorre rivolgere la stessa fiducia verso il capo di Stato nordcoreano per metterlo alla pari con i nostri governanti, quelli dei Paesi "del primo mondo", per intenderci. Si pone invece una domanda: se anziché eguagliare Kim Jong-un ai nostri politici (e non solo), provassimo a fare il contrario? Se provassimo a riconoscere, sotto alle parole di coloro che per non pochi mesi si sono come proclamati punto di riferimento di un popolo che andava accompagnato e guidato nella lotta contro il virus, quel che di narcisisticamente dittatoriale che, per quanto poco palese e certamente non voluto come primo obiettivo, li ha rinforzati nel mantenimento del loro ruolo nella politica, nella sanità, nell’amministrazione? Non s’intende accusare nessuno, nemmeno mettere sullo stesso livello capi di Stato occidentali e orientali, ma solo invitare alla riflessione, per trovare in chi ci "guida" da vicino quei tratti che tanto additiamo come dittatoriali in figure dall’altra parte del mondo.
Boris Borlenghi
12/08/2022