IL REFERENDUM SMASCHERA LE ÉLITE:
CADONO LE IDEOLOGIE DI ALCUNI VESCOVI E DELLE MINORANZE.
I PERDENTI URLANO, I MEDIA ASSECONDANO.

IL REFERENDUM SMASCHERA LE
ÉLITE: CADONO LE IDEOLOGIE DI ALCUNI VESCOVI E DELLE MINORANZE. I
PERDENTI URLANO, I MEDIA ASSECONDANO.
Netto
e non suscettibile di interpretazione, quanto uscito fuori dalle urne
del referendum.
Un’affluenza
del 30, 59% che non lascia spazio ad esegesi.
Referendum
dai quesiti a dir poco discutibili, che proponevano l’abrogazione
di parti di leggi volute e approvate dagli stessi promotori. Un
paradosso istituzionale che ha comportato una spesa superiore ai 380
milioni di euro, interamente a carico dei cittadini, per soddisfare
quello che in molti definiscono uno "schiribizzo politico".
I
referendum che molti indicano come una verifica, a spese dei
contribuenti, del grado di accettazione del segretario del principale
sindacato CGIL, Maurizio Landini, che né è stato promotore ed
assertore …
Segretario
che ormai al termine del suo mandato, tra un paio d’anni, potrebbe
riciclarsi in parlamento, seguendo la linea tracciata da quasi tutti
i suoi predecessori.
Referendum
che hanno inciso in modo significativo sulla vita degli italiani, ma
che sono stati accompagnati da un'informazione carente sui contenuti
reali dei quesiti e, al contempo, da un martellante dibattito
politico incentrato sulle consuete contrapposizioni ideologiche. L’
attenzione maggiore è stata riservata alle polemiche e agli scontri
verbali, spesso rivolti contro chiunque esprimesse opinioni non
allineate con quella parte politica oggi all’opposizione, ma un
tempo alla guida del governo.
La
tensione politica continua a intensificarsi con il progressivo
rinnovo delle cariche istituzionali. Con la scadenza dei mandati di
figure designate dai governi precedenti, prende forma un inevitabile
ricambio che, sebbene perfettamente in linea con la fisiologia
democratica, diventa spesso motivo di sospetti, polemiche e accuse di
“occupazione del potere” da parte di chi oggi siede
all’opposizione. Un clima sempre più polarizzato in cui la scelta
delle figure di vertice sembra rispondere più a logiche di
appartenenza partitica che a criteri di comprovata competenza e
preparazione.
Un
fenomeno non circoscritto al contesto nazionale, ma ormai diffuso in
Europa e oltre. Il crescente antagonismo verso i governi di destra —
frequentemente etichettati come “sovranisti” — evidenzia una
frattura ideologica profonda, nonostante tali esecutivi siano
espressione di legittimi processi elettorali. Le vicende ungheresi
restano emblematiche, ma non meno significative sono le recenti
elezioni in Polonia, in Portogallo e, più in generale, le tensioni
che attraversano la Francia, regno di Macron, dove il conflitto
politico assume toni sempre più aspri.
L’avvio
del 2025 ha ulteriormente destabilizzato quella che viene definita la
sinistra progressista, in particolare nei contesti statunitense ed
europeo. Il ritorno alla Casa Bianca del Presidente Donald Trump,
insediatosi regolarmente a gennaio con un largo consenso popolare, ha
profondamente spaccato l’opinione pubblica mondiale, delineando due
blocchi contrapposti: da un lato i cosiddetti “sovranisti” o
“trumpiani”, dall’altro i “progressisti” o
“anti-trumpiani”.
Nonostante
il pronunciamento chiaro delle urne, Trump continua a essere oggetto
di contestazioni da parte di una minoranza rumorosa e agguerrita, che
non esita a scendere in piazza pur di riaffermare visioni politiche
che la maggioranza ha democraticamente respinto. Le proteste in corso
a Los Angeles, in California, ne sono solo l’ultima dimostrazione:
un riflesso di un’America — e di un mondo occidentale —
attraversati da tensioni ideologiche che sembrano non voler trovare
tregua.
Tornando
al tema del recente referendum, emerge un paradosso inquietante:
coloro che si fanno alfieri della democrazia e ne invocano i principi
fondamentali sembrano, in realtà, travisarne il significato
autentico. Secondo la definizione della Treccani, la democrazia è
una “forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e
garantisce a ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza
all’esercizio del potere pubblico.” Una definizione chiara, ma
che appare distante dalle dinamiche innescate da chi ha promosso
l'iniziativa referendaria.
Le
discussioni su presunti alti ideali vengono spesso relegate ai
consueti salotti televisivi, frequentati da volti noti del dibattito
mediatico, pronti a sostenere tutto e il suo contrario, in una
continua autocelebrazione del proprio sapere. Un teatro ripetitivo e
sempre più distante dalla realtà concreta vissuta quotidianamente
da milioni di cittadini. Uomini e donne alle prese con la corsa
quotidiana per la sopravvivenza, incastrati tra mille ostacoli
burocratici e normative sempre più complesse, spesso percepite come
vere e proprie trappole.
Basti
pensare alla situazione di tanti lavoratori, in particolare nelle
grandi città — si prenda ad esempio Milano — dove molti, per
necessità, continuano a utilizzare veicoli Euro 4, ormai banditi
dalla circolazione. Non per scelta, ma per impossibilità economica
di sostituirli. Dove sono, in questi casi, le voci sindacali a difesa
dei lavoratori? Proprio quei sindacati che hanno promosso e sostenuto
il referendum, presentandolo come uno strumento a tutela dei diritti
del lavoro. Gli stessi, va ricordato, che in passato avevano
contribuito all’approvazione delle norme che ora vorrebbero
abrogare.
Un
cortocircuito ideologico che mina la credibilità dell’intero
impianto democratico. Emblematica, in tal senso, è la convocazione
di una manifestazione di piazza nel sabato immediatamente precedente
al voto, giornata per la quale vige il silenzio elettorale.
Ufficialmente indetta per altre ragioni, la mobilitazione è stata
poi strumentalmente utilizzata per invitare i cittadini alle urne,
lasciando trasparire — da parte di leader politici e sindacali —
l’idea che quella stessa piazza fosse unanimemente favorevole
all’abrogazione dei provvedimenti sottoposti a referendum.
Un’operazione
ambigua, che solleva dubbi non solo sull’opportunità politica, ma
anche sul rispetto delle regole democratiche. Quelle stesse regole
che, a parole, si proclamano inviolabili, ma che nei fatti vengono
talvolta piegate alle esigenze di parte.
Se
certe dinamiche possono, a torto o a ragione, rientrare nella
naturale complessità della dialettica politica, ben altra
riflessione merita l’attiva e crescente ingerenza di alcuni
ambienti ecclesiastici nel dibattito pubblico, in particolare di
esponenti dell’episcopato italiano. La CEI guidata dal cardinale
Zuppi, ad esempio, sembra non aver colto – o sceglie di ignorare –
il chiaro segnale di dissenso espresso dal popolo sul tema
dell’immigrazione.
In
questo contesto si inserisce un editoriale particolarmente
significativo, a firma di Antonio Socci, pubblicato su un noto
quotidiano. L’articolo riprende un’osservazione televisiva di
Maurizio Molinari, già direttore de la
Repubblica,
il quale ha affermato che Papa Francesco, fin dall’inizio del suo
pontificato, ha internazionalizzato il messaggio politico e culturale
dell’allora presidente statunitense Barack Obama. Un messaggio
articolato su tre pilastri ideologici: allarmismo climatico,
rivoluzione antropologica (con particolare riferimento all’agenda
Lgbt) e immigrazione di massa. Temi che, secondo molti osservatori,
si discostano profondamente dalla volontà espressa dalla maggioranza
dei cittadini, ma che continuano ad essere difesi, con fermezza, da
autorevoli membri della CEI.
Tra
questi, monsignor Gian Carlo Perego, vicepresidente della Commissione
episcopale per le migrazioni, che ha dichiarato – nonostante la
recente bocciatura referendaria – che “gli stranieri non ameranno
questo Paese.” Una frase che lascia poco spazio a interpretazioni
concilianti, soprattutto alla luce dei numerosi casi documentati e
riportati anche in precedenti inchieste giornalistiche, che
riguardano l’atteggiamento ambiguo di alcune realtà ecclesiali sui
temi migratori.
Dalla
proposta di sostituire le festività cattoliche con ricorrenze
islamiche, al finanziamento di ONG con flotte navali dedite al
trasporto migratorio, fino all’accoglienza strutturata in
parrocchie e spazi ecclesiali – spesso in diocesi limitrofe alla
Capitale – il quadro appare tutt’altro che neutrale. Si tratta di
scelte precise, accompagnate da un’attività comunicativa che
difficilmente può definirsi avulsa da implicazioni politiche.
Anche
in presenza di una chiara espressione popolare, alcuni prelati non
sembrano disposti a un passo indietro. Anzi, proprio laddove il
consenso democratico ha parlato con voce forte, si rileva una
sorprendente insistenza su posizioni minoritarie, accompagnata, in
altri casi, da un silenzio “gommoso” su vicende ben più spinose.
Come quella – da noi già denunciata – legata al “Giubileo dei
Giovani” e alla fornitura di 1.200.000 pasti per un valore
complessivo di 9.600.000 euro, affidata con incarico scritto, ma
ancora priva, a quanto risulta, dell’anticipo pattuito. La
questione è oggi oggetto di attenzione da parte di studi legali, con
un coinvolgimento diretto del Vicariato di Roma.
Proprio
il Vicariato è stato protagonista anche di un altro episodio
controverso: l’organizzazione, nei propri locali di Casa Bonus
Pastor e con l’esposizione del proprio logo accanto a quello di una
formazione politica – la Democrazia Cristiana – di un convegno
dai contorni tutt’altro che ecclesiali. Interpellato in merito, il
Vicariato non ha ancora fornito risposte ufficiali. Il convegno, pur
spostato e “spogliato” dell’identità visiva del Vicariato, si
è comunque tenuto presso un’altra struttura riconducibile allo
stesso ente, “Casa tra noi”.
Un
silenzio istituzionale su temi rilevanti, contrapposto a un attivismo
sonoro su questioni ideologiche, lascia trasparire una doppia morale.
E pone interrogativi sempre più urgenti sul ruolo che una parte
della Chiesa italiana intende giocare nello spazio pubblico, a
discapito – forse – della sua missione spirituale.
Ma
torniamo, per un attimo, al cuore del dibattito: il referendum.
Colpisce — e dovrebbe far riflettere — il netto scarto emerso tra
le ZTL delle grandi metropoli e le periferie più fragili del Paese.
Nelle zone centrali, benestanti e culturalmente orientate verso
posizioni progressiste, il consenso per la cosiddetta "cittadinanza
facile" si è rivelato massiccio. Al contrario, nelle aree
periferiche, laddove la pressione migratoria è tangibile,
quotidiana, spesso fonte di tensione sociale, si registra una ferma
opposizione.
Un
dato significativo, eloquente nella sua chiarezza, eppure quasi del
tutto rimosso dal dibattito pubblico, ignorato con ostinazione da
larga parte dei media generalisti. Un silenzio che appare tanto più
grave quanto più rivela la volontà di non vedere, di non sentire il
disagio reale di ampie fasce di popolazione.
Alla
luce di tale scenario, si ha l’impressione che anche la Conferenza
Episcopale Italiana, analogamente a una certa sinistra progressista,
si sia allineata a una visione distante dalla realtà popolare. Un
orientamento che sembra avvicinare la Chiesa non già ai problemi
della povera gente, ma alle sofisticate narrative delle élite, a
quell’universo ovattato di salotti borghesi, talk show e pensiero
unico che domina il politicamente corretto.
È
il mondo delle minoranze rumorose: influenti, ben posizionate nei
centri nevralgici dell’informazione e della finanza, ma sempre più
lontane dal consenso diffuso. Un mondo che, nonostante la debole
rappresentanza nelle urne, continua a esercitare un potere culturale
sproporzionato, spesso ricorrendo a toni perentori e talvolta
aggressivi, nel tentativo di indirizzare — o peggio, sostituire —
la volontà popolare.
Ma
con quale legittimità?
Viene
da chiedersi se, esclusi dal potere esecutivo, certi settori elitari,
oggi numericamente marginali ma economicamente forti, non stiano
tentando di innescare contrapposizioni ideologiche sempre più acute,
rischiando di alimentare tensioni sociali che potrebbero sfociare in
conflitti incontrollabili.
È
lecito domandarsi dove possa condurre tale distanza crescente tra
rappresentazione mediatica e realtà vissuta, tra propaganda e vita
concreta. E soprattutto: a chi giova?
Meditate,
o voi lettori. Meditate.
Ettore
Lembo
12/06/2025