In onore della libertà di pensare
Uno dei più famosi slogan della rivoluzione culturale e sessuale degli anni settanta fu “Il corpo è mio e lo gestisco io”.
Con queste parole i nascenti gruppi di femministe rivendicavano il diritto delle donne di “decidere sul proprio corpo”.
La sessualità non era più un “dovere coniugale” bensì un elemento della rivoluzione dei rapporti fra uomini e donne.
Il concetto, queste parole, faceva letteralmente scalpore.
Era rivoluzionario, modificava radicalmente il paradigma sociale.
Al tempo le femministe parlavano di “affrancamento delle donne dagli uomini”.
Affrancarsi da un ruolo che veniva ritenuto subalterno all’uomo.
Quelle associazioni portarono al centro dell’agenda politica occidentale, non solo in Italia, i diritti delle donne.
Portarono la rivendicazione di un ruolo da protagonista per le stesse sia nel mondo del lavoro che nella sfera privata.
In questa ottica il corpo della donna diveniva simbolo.
Diveniva dissacrante simbolo di lotta contro l’egemonia maschile.
“Il corpo è mio” appunto, urlavano le donne.
Il 12 ed il 13 maggio 1974 l’Italia fu chiamata a decidere attraverso un referendum sul diritto al divorzio.
Con la legge del 22 maggio 1978, n. 194, vennero disciplinate le modalità all’accesso all’aborto in Italia.
Il 7 gennaio scorso, in Iran è stata condannata un’altra, non la prima, donna per aver violato la legge che impone alle iraniane di indossare l’hijab in pubblico. Un velo sui capelli.
È una curda, si chiama Roya Hesmati, ha 33 anni ed è un’attivista del movimento femminista.
Questa donna è colpevole, per il regime iraniano, di aver diffuso una sua foto senza il velo scattata sul Keshavarz Boulevard a Teheran.
Questa la motivazione che la ha condannata a subire 74 frustate oltre ad un anno di reclusione con la sospensione della pena.
Inoltre non potrà uscire dal Paese per tre anni.
In Italia quotidianamente noi “cittadini semplici” sentiamo parlare di patriarcato e femminicidi.
Molti politici ed opinionisti, in questi ultimi mesi, si sono schierati contro i contenuti del libro del generale Roberto Vannacci proprio per le posizioni “tradizionali” che propone.
Nulla a che vedere rispetto alla brutalità contro le donne che il governo iraniano perpetra.
Io, sempre “cittadino semplice”, mi chiedo, e continuerò a chiedere a chi non la pensa come me, perché il mondo che vive con così alto disagio le posizioni espresse dal generale Vannacci, tanto da chiederne l’allontanamento dall’esercito, non si sia attivato con visibili proteste ed atti plateali contro l’Iran che frusta ed incarcera le donne esclusivamente perché non vogliono indossare un velo sui capelli.
Dove sono le femministe?
Dove le parlamentari che arrivarono ad inginocchiarsi nel nostro Parlamento per protestare per l’uccisione di un pregiudicato statunitense da parte di un poliziotto?
Dove i tanti opinionisti che ci parlano pressoché quotidianamente dei “femminicidi”, quasi che in Italia vi siano solo uomini che ammazzano le donne?
Soprattutto mi chiedo, dove la coerenza dei membri delle Istituzioni, ministri in primis, che si lanciano in dichiarazioni ogni qual volta accade qualcosa nel mondo per stigmatizzarlo ed esprimere il loro “potere dei più buoni” come cantava Gaber?
Politici, opinionisti, intellettuali ed artisti, voi tutti che tanto vi rappresentate come quelli che hanno il diritto di dirimere fra il bene ed il male, su tutto, sempre, perché non alzate la voce contro quanto accade alle donne iraniane, perché non bruciate le bandiere come avete fatto con quelle statunitensi e quelle israeliane non ultimo alla prima della Scala a Milano, perché non marciate davanti all’ambasciata iraniana urlando gli slogan delle femministe degli anni settanta, anche quelli più dissacranti.
O voi parlamentari perché non occupate l’aula del vostro ramo del parlamento all’urlo “siamo tutte iraniane”, perché non vi tagliate i capelli sedute al vostro scranno in onore delle donne iraniane, perché non chiedete al ministro degli Esteri italiano di convocare l’ambasciatore di Teheran, perché non proponete con un ordine del giorno al governo di dare la cittadinanza italiana alle donne iraniane frustate per un reato di opinione?
In pratica, o voi benpensanti, fate i benpensanti anche questa volta.
Per una volta, dopo che io, noi “cittadini semplici”, mi, ci siamo assai sentiti annoiati dai vostri discorsi senza contraddittorio reale sul covid, sul cambiamento climatico, sulle politiche economiche green, sulla decrescita felice, sulla Federazione Russa che ha perso la guerra in Ucraina, su quanto sono cattivi Trump e Netanyahu, su quanto è utile la farina d’insetto, per una volta, la prima volta, ci schiereremo anche noi, “cittadini semplici un po’ socialmente retrò”, e con voi urleremo al potere iraniano che non si può frustare una donna solo perché vuole vivere libera e con i capelli al vento.
Una annotazione per finire, quanto vorrei vedere i nostri giovani italiani saper rischiare per le loro idee quanto queste immense donne, ragazze, iraniane!
Quanto vorrei vedere i loro professori, così tanto pronti ad insegnare loro la cultura “gender” togliendo spazio all’italiano, alla storia ed alla matematica, spingere i loro discenti a manifestare a favore di queste donne iraniane come in altre occasioni abbiamo potuto vedere i nostri professori fare.
Queste donne iraniane, come non ammetterlo, ci stanno insegnando molto.
Sono donne che “fanno”, non “parlano al bar”.
Sono donne che combattono per la loro libertà di opinione rischiando la loro vita, non sparando agli altri.
Per loro mi alzo in piedi in segno di rispetto.
Ignoto Uno
09/01/2024