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IL REFERENDUM DEL RISCHIO - ETTORE LEMBO NEWS

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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Il Referendum del Rischio:
“Quando Dire Sì è un Salto nel Buio”
L’Inganno della Scelta: Perché il Referendum non è la Risposta!

Il referendum abrogativo dell'8 e 9 giugno 2025 in Italia propone cinque quesiti su lavoro e cittadinanza.
Alcuni osservatori critici ritengono che l'approvazione di questi quesiti possa favorire le forze politiche di sinistra.
Di seguito, analizzando il testo, le azioni e le conseguenze ho prodotto una sintesi delle principali criticità e potenziali rischi associati, secondo questa personale ma precisa prospettiva.

Dapprima la modifica delle norme sulla cittadinanza.
Uno dei quesiti propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza richiesto per la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri.
I sostenitori del "Sì" ritengono che questa modifica favorisca l'integrazione. Tuttavia, alcuni critici temono che la riduzione del periodo possa incentivare flussi migratori, con conseguenti pressioni sui servizi pubblici e sul mercato del lavoro.
Inoltre, l'ampliamento del corpo elettorale possa alterare gli equilibri politici, favorendo partiti che promuovono politiche migratorie più aperte.

In secondo luogo l’abrogazione di parti del Jobs Act.
Diversi quesiti mirano a modificare o abrogare disposizioni del Jobs Act, tra cui il reintegro obbligatorio per i lavoratori licenziati ingiustamente, l’eliminazione del tetto alle indennità per licenziamenti nelle piccole imprese e la maggiore responsabilità dei committenti negli appalti.

Di fatto, tali modifiche potrebbero ridurre la flessibilità del mercato del lavoro, scoraggiando le assunzioni, soprattutto nelle piccole e medie imprese e di sicuro aumentare il contenzioso legale, con costi aggiuntivi per le aziende.

Perché per qualcuno, gli imprenditori non sono lavoratori …

Andiamo al raggiungimento del quorum e legittimità del voto.
Perché i referendum siano validi è necessario il raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto.

I partiti di centrodestra hanno invitato all'astensione, ritenendo che la bassa partecipazione possa delegittimare l'esito, soprattutto se i votanti rappresentano una minoranza politicamente orientata e che l'utilizzo del referendum per modifiche complesse possa non essere lo strumento più adeguato, preferendo un dibattito parlamentare approfondito.

Poi dobbiamo valutare le possibili implicazioni politiche.
L'approvazione dei quesiti potrebbe essere interpretata come un successo per le forze politiche di sinistra, influenzando le future agende legislative, con una spinta verso politiche più progressiste in ambito lavorativo e migratorio e, soprattutto, le dinamiche elettorali, rafforzando la posizione dei partiti promotori dei referendum.

In Conclusione, mentre i referendum dell'8 e 9 giugno 2025 mirano a modificare aspetti rilevanti delle normative su lavoro e cittadinanza, è essenziale considerare attentamente le potenziali conseguenze.

Un'analisi approfondita e un dibattito informato possono aiutare gli elettori a prendere decisioni consapevoli.

Votare "Sì" ai referendum dell'8 e 9 giugno 2025 comporta l'abrogazione di alcune norme vigenti in materia di lavoro e cittadinanza.

Di seguito è descritto un problema potenzialmente critico che potrebbe derivare da un esito favorevole al "Sì", secondo una visione prudente e conservativa:

Pur con l’intento dichiarato di migliorare diritti e inclusione, approvare tutti i quesiti referendari con un semplice “Sì” può generare effetti collaterali seri e poco considerati: irrigidimento del mercato del lavoro, pressione sul welfare, instabilità politica e trasformazioni rapide del corpo elettorale. Le riforme strutturali richiedono dibattito, gradualità e strumenti parlamentari, non scorciatoie referendarie.

Ricordiamoci che il voto ai referendum non è obbligatorio, scegliere consapevolmente di non votare è legittimo e in questo caso l’astensione è uno strumento democratico valido per esprimere dissenso verso quesiti mal formulati o parziali.

Non andare a votare è una scelta politica, non una diserzione.

Infine, per i debolucci di memoria voglio ricordare che in ordine ai referendum,
il Partito Democratico (PD) nel Referendum del 2009 disertò!
Il PD, guidato da Dario Franceschini, non appoggiò il referendum sulla legge elettorale (che voleva eliminare le coalizioni).
Molti dirigenti di sinistra invitarono implicitamente all’astensione, temendo che la vittoria del “Sì” avrebbe favorito il centrodestra.

E poi Mario Monti, nel Referendum del 2011.
All’epoca ex commissario europeo, non votò ai referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento.
Giustificò l’astensione sostenendo che i temi andavano trattati in sede parlamentare, non con semplificazioni referendarie.
Partiti moderati o centristi (anni 2000 e precedenti) spesso, in passato, esponenti di centro o sinistra riformista, come Giuliano Amato o Massimo D'Alema, non appoggiarono l’abrogazione referendaria di leggi complesse, sottolineando i rischi di “governare a colpi di referendum”.
E i Radicali (in chiave opposta)?
Paradossalmente, i Radicali - pur promotori di molti referendum - hanno “criticato” chi usa il referendum come strumento politico invece che giuridico, denunciando “campagne di voto manipolate” da entrambe le parti.
Dunque, l’astensione strategica non è un’invenzione della destra, è stata strumento di cautela o convenienza politica anche per il centrosinistra, i tecnocrati e riformisti.
Dire che “non votare è antidemocratico” è quindi una semplificazione storicamente infondata.
Studiare a volte fa male perché rivela le verità.
Vi piaccia o no, questa è storia, non la potete interpretare, potete solo studiarla!

Massimiliano de Cristofaro
07/06/2025
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