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ROMA, DOVE LA CULTURA... - ETTORE LEMBO NEWS

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Roma, dove la Cultura si intreccia con l’Arte

Roma, dove la Cultura si intreccia con l’Arte e i Gioielli risplendono di storia, nel cuore pulsante di un autentico “Rinascimento” ottocentesco, nasce nel 1846 una dinastia destinata a lasciare un segno indelebile nell’arte orafa: la storica casata degli Alfonsi.

Con Gallo Alfonsi, capostipite di una storica dinastia, prendono forma opere orafe di straordinario pregio, destinate a Principi, Nobili, rappresentanti della Santa Sede e ai nuovi Governanti. Un’eredità artistica che, con il tempo, ha affascinato anche celebrità provenienti dai mondi più disparati.

Ci sono luoghi nel mondo noti universalmente per alcuni aspetti, eppure sorprendentemente ignorati per altri. È il caso di Roma, un tempo celebrata come Caput Mundi e oggi, secondo molte statistiche, relegata a posizioni marginali. Ma i numeri non raccontano tutto.
Roma resta, infatti, un crocevia unico di storia, cultura, arte e memoria collettiva. Una città che ha visto passare, e spesso nascere, protagonisti silenziosi della nostra identità culturale. È proprio qui che hanno mosso i primi passi uomini e famiglie che, pur lontani dai riflettori, hanno lasciato un’impronta indelebile.
Tra questi, spicca la famiglia Alfonsi, il cui nome – forse meno noto al grande pubblico – è sinonimo di eccellenza nell’arte orafa. Una storia che merita di essere raccontata, perché intreccia bellezza, tradizione e il genio silenzioso di chi, con le proprie mani, ha contribuito a scrivere la storia visiva e simbolica del nostro Paese.
Un nome che comincia a farsi strada nel cuore pulsante del Risorgimento, in quel 1846 che segna l’avvio di un’epoca destinata a riscrivere il volto della penisola italiana. È in questo scenario di fermento e rinnovamento, durante quella che fu definita la “rivoluzione italiana” (1815-1871), che emerge la figura di Gallo Alfonsi: un orafo destinato a lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte orafa italiana.
Il 17 marzo 1861 nacque ufficialmente il Regno d’Italia a Torino, e nel 1871, con la presa di Roma del 20 settembre 1870, la capitale fu trasferita nella Città Eterna. Proprio a Roma, nell’atmosfera intrisa di attese e trasformazioni, Alfonsi inizia la sua carriera collaborando con il celebre laboratorio de “I Castellani”: una famiglia di orafi, collezionisti e antiquari che daranno vita a una vera e propria dinastia artistica tra XIX e XX secolo.
Fondatore della scuola castellana fu Fortunato Pio Castellani (1794-1865), che nel 1814 aprì la sua bottega nella capitale. Grazie all’illuminato sodalizio con il duca Michelangelo Caetani, raffinato disegnatore e appassionato d’arte, Castellani divenne in breve tempo l’orafo prediletto dell’aristocrazia romana, e ben presto anche delle élite europee.
Gallo Alfonsi, mosso dallo stesso slancio creativo, nel 1850 apre la propria bottega in via delle Muratte, a due passi dalla Fontana di Trevi. Lì, nel cuore monumentale di Roma, le sue creazioni d’alta gioielleria conquistano rapidamente fama e prestigio, distinguendosi per la raffinatezza dei dettagli e l’equilibrio perfetto tra tradizione e innovazione.
Il suo talento non passa inosservato: Alfonsi riesce ad attrarre una clientela d’élite composta da Principi, Nobili, rappresentanti della Santa Sede e figure di spicco della nuova classe dirigente di una Roma ormai capitale d’Italia.
A suggellare il riconoscimento del suo straordinario valore artistico, giunge infine la prestigiosa nomina a fornitore ufficiale della Casa Reale, consacrandolo tra i massimi esponenti dell’arte orafa italiana del tempo.
La nascita di Germano Alfonsi, il 30 maggio 1926, segna un nuovo e luminoso capitolo nella storia della rinomata tradizione orafa della famiglia Alfonsi. Figlio di Francesco, a sua volta discendente diretto del capostipite Gallo, Germano eredita un patrimonio di saperi antichi, ma è la sua visione, unita a un talento fuori dal comune, a imprimere una svolta decisiva e irripetibile all’arte di famiglia.
È proprio Germano, infatti, a condurre la casata orafa verso un’evoluzione stilistica e tecnica che molti definiscono epocale. La sua abilità, definita dal critico d’arte Nino D’Antonio come “straordinaria e prodigiosa manualità che ha fatto parlare di miracolo”, è al centro del documentario “This is Germano”, diretto dal regista Daniele Nannuzzi.
Mentre frequenta gli studi di Architettura, Germano affina il suo linguaggio artistico sperimentando con il disegno e la modellatura delle cere, rievocando con naturalezza l’approccio artigianale dei maestri del Rinascimento. Da questa intimità con la materia nasce un legame quasi alchemico con la cera, che diventerà la sua firma distintiva e il punto di forza di uno stile riconoscibile ben oltre i confini italiani.
Sono gli anni in cui realizza i suoi primi gioielli: opere di delicata eleganza, intrise di poesia e rigore formale. Il suo approccio, improntato a una costante e discreta umiltà, resterà immutato anche quando il suo nome inizierà a circolare nei salotti più esclusivi, conquistando una notorietà fondata unicamente sul merito e sul valore autentico delle sue creazioni.
Alla morte del padre Francesco, Germano assume la guida dell’attività di famiglia, imprimendole una nuova direzione. La sua produzione si arricchisce di piccole sculture in metalli e materiali preziosi, vere e proprie miniature d’arte che catturano l’attenzione di una clientela sofisticata ed esigente.
La storica bottega di via delle Muratte, già vicina alla Fontana di Trevi, si trasforma in un crocevia di cultura ed eleganza. Non solo un riferimento per nobili, prelati e aristocratici, ma anche meta prediletta di esponenti del mondo del cinema, della moda e dello spettacolo. Sono gli anni della leggendaria “Dolce Vita”, e il nome di Germano Alfonsi diventa sinonimo di raffinatezza, classe e saper fare italiano.
È in quegli anni ruggenti che nomi del calibro di Renato Rascel, Virna Lisi e Peppino De Filippo diventano frequentatori abituali dell’atelier Alfonsi, attratti dal magnetismo discreto di un artista capace di fondere tecnica e anima in ogni sua creazione.
Ma è nel cuore degli anni Cinquanta che Germano decide di voltare pagina: lascia la storica sede di via delle Muratte, nel centro pulsante di Roma, e si trasferisce a Frascati, nei suggestivi Castelli Romani. Qui apre il suo primo studio in Piazza San Rocco, per poi trasferirsi in via Ajani, nella sede che diventerà la celebre “Galleria La Rassegna”, oggi attuale laboratorio orafo.
Gli anni Sessanta lo consacrano definitivamente come gioielliere d’autore e scultore dell’anima. È il decennio del leggendario geode di ametista, opera visionaria in cui scolpisce l’Inferno dantesco: oltre venti figure di dannati, tra cui Caronte, Paolo e Francesca, resi con un’accuratezza anatomica e un pathos che non lasciano spazio all’indifferenza. L’opera attira l’attenzione internazionale, tanto da essere raccontata anche dal National Geographic.
Negli anni Settanta la fama di Germano Alfonsi raggiunge vette istituzionali. Il Governo italiano gli affida la realizzazione in miniatura di due fontane simbolo dell’antica Roma: quella del Tempio di Vesta e quella delle Tartarughe. I due capolavori saranno donati al presidente sovietico Nikolaj Podgornyj, in un gesto di diplomazia culturale che suggella l’arte come ponte tra mondi.
Intanto, il mondo del cinema e del jet set internazionale si fregia dei suoi monili come di autentici totem di stile. Anna Magnani, Ira von Fürstenberg, Jacqueline Kennedy, Sophia Loren, Ursula Andress, Marisa Mell, Antonella Lualdi, Gabriella Ferri, Patty Pravo: tutte indossano o collezionano le creazioni firmate Alfonsi, riconoscendone l’eleganza senza tempo e l’unicità formale.
Le cronache dell’epoca celebrano il suo talento. Il quotidiano IL TEMPO titola a tutta pagina:
“Si fa anticamera a Capri per lo scultore Germano”, mentre nuove opere affascinano il pubblico e la critica: dal Cristo morente destinato a Papa Giovanni, alle miniature della Pietà e dello Sposalizio della Vergine ispirate ai capolavori di Raffaello.
A suggellare questa parabola artistica, arrivano anche le testimonianze audiovisive e biografiche: il documentario “This is Germano”, firmato dal regista Daniele Nannuzzi, e la biografia scritta dal critico d’arte Nino D’Antonio, che restituisce con sensibilità il ritratto di un uomo e di un artista fuori dal comune.
È in questo periodo che Germano Alfonsi firma alcune delle sue opere più iconiche: per la Regione Campania, realizza il gruppo bronzeo Avanti Insieme, collocato nei giardini del Palazzo Reale di Napoli, mentre per lo Scià di Persia scolpisce Il Globo, opera poi donata anche all’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni.
Nello stesso fervido decennio, per la Cattedrale di San Pietro Apostolo di Frascati, Germano crea la raffinata vetrata della Cappella del SS. Sacramento, seguita a breve distanza dal monumentale bassorilievo bronzeo del Paliotto d’altare per la chiesa delle Scuole Pie, una delle sue prove di maggior prestigio artistico e spirituale.
Gli anni Ottanta lo consacrano definitivamente sulla scena internazionale: le sue esposizioni toccano capitali e metropoli d’arte come New York, San Francisco, Los Angeles, Bruxelles, Bangkok, Hong Kong e l’Alabama, portando la sua firma ben oltre i confini nazionali.
Nel 1990, una nuova, solenne creazione: una statua bronzea per la Basilica di Sant’Alfonso Maria de' Liguori a Pagani, posta su un basamento in marmo. La scultura raffigura il Santo in vesti episcopali, colto nell’atto di benedire i suoi fedeli. Un’opera di grande intensità spirituale che riceve l’alto onore della benedizione di Papa Giovanni Paolo II.
Ma il tempo, implacabile, presenta il suo tributo. Una malattia ostinata costringe Germano a lunghi periodi d’isolamento nella propria abitazione. Eppure, anche nella sofferenza, l’artista non rinuncia alla bellezza: trova conforto nel disegno, nella poesia — una passione segreta che lo ha accompagnato per tutta la vita — fino alla sua scomparsa, avvenuta a Roma il 4 giugno 2006.
Di lui scriverà qualcuno: "Germano è l’ultimo discendente di un’antica stirpe di orafi, autori di celebri manufatti oggi custoditi nei Musei Vaticani, creatori di architetture sacre e opere commissionate da nobili casate. La sua straordinaria manualità ha del miracoloso.”
Le cronache lo descrivono come un uomo riservato, appartato, quasi schivo — tratti comuni a chi custodisce dentro di sé l’ardente fiamma della vera arte. Grande appassionato di pesca e di stampe antiche, Germano trascorre la sua infanzia tra i banchi del mercato dei fiori e delle verdure, nel cuore popolare di Roma, tra le donne con le sporte e i ragazzini che, fino a tarda sera, animano le vecchie osterie di Campo de’ Fiori.
Con le mani in tasca, lo sguardo assorto e il passo lento, si perde tra i banchi fino alla statua del “monaco ribelle”, Giordano Bruno, figura che da sempre incarna lo spirito inquieto e anticonformista a lui tanto caro.
Dopo aver scelto Frascati come rifugio, Roma non è più quella della sua giovinezza. La quiete ritrovata tra i colli lo consola, ma il legame con la capitale rimane inciso nell’anima.
Lo studio di Germano è una contraddizione vivente rispetto alla sua figura: uno spazio in cui regnano il caos creativo e il disordine quasi scenografico, simile a un bazar orientale. Argille, cere, schizzi, monili in argento, strumenti del mestiere, idee appena abbozzate — un vortice artistico dove ogni opera nasce da un turbine di intuizioni e dubbi, tra fallimenti e intuizioni geniali. È lì che germogliano le sue creazioni, lì che la forma trova voce.
Estremamente severo con sé stesso, Germano si dichiara sempre insoddisfatto del risultato, superando costantemente i propri limiti, guidato da un perfezionismo radicato nella sua formazione classica. I suoi numi tutelari sono i giganti del primo Rinascimento: Michelangelo, Donatello, e quei valori umanistici che, pur sembrando lontani dai tempi odierni, continuano a vivere nella sua opera.
Tra i temi più ricorrenti nelle sue sculture vi è quello delle mani — simbolo di creazione, di fatica, di umanità — ma anche l’amore, la solitudine, l’indagine psicologica e il disagio dell’uomo contemporaneo, imprigionato nei propri limiti.
Le antiche tradizioni orafe di famiglia sono esaltate dalla sua creatività fuori dal comune. Le sue creazioni hanno attraversato i continenti, e c’è sempre qualche celebrità in attesa di ricevere un suo gioiello. I monili di Germano parlano un linguaggio mitologico ed etico, ispirati al mondo classico e frutto di anni di studio, ricerca e passione.
Utilizza la tecnica millenaria della fusione a cera persa, risalente all’epoca di Benvenuto Cellini, che ancora oggi rappresenta il cuore pulsante della produzione artistica della famiglia Alfonsi. Un procedimento arcaico e affascinante, in cui la cera viene modellata e inglobata in un cilindro di malta refrattaria. Durante la cottura, la cera si scioglie, lasciando una cavità che accoglierà l’oro fuso: da questo processo nascerà l’opera definitiva, irripetibile e intrisa d’anima.
Oggi l’eredità artistica di Germano è custodita e proiettata verso il futuro da Bianca, Francesco e Micaela, suoi figli e nuovi custodi della tradizione. Ciascun gioiello da loro realizzato è unico, pensato e plasmato interamente a mano, secondo quella tecnica nobile e senza tempo che li rende testimoni di un’arte che sfida la serialità dell’epoca moderna.
“Non è il materiale prezioso a fare il gioiello — riflettono oggi gli Alfonsi — ma l’idea che lo anima.”
Parole che sanciscono il valore profondo della creazione, rendendola eterna.
Non è un caso, forse, se le più potenti idee si sono spesso manifestate nel Rinascimento. Così fece Gallo Alfonsi, fondando la sua bottega nell’Ottocento, nell’Italia che si avviava all’Unità. Così fece Germano, rivolgendo lo sguardo a quel Rinascimento che fiorì dopo il buio del Medioevo. E così faranno Bianca e Micaela, interpreti stilistiche del presente, insieme a Francesco, tecnico orafo d’eccellenza. Magari affiancati, come accadde con Germano, da chi possiede quello spirito raro e luminoso che trasforma l’idea in un’opera unica.
Un’opera destinata a durare. Preda ambita dei ricchi, dei potenti, degli intenditori. Ma soprattutto, dono sublime del genio umano.
Ettore Lembo
09/07/2025
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