BREXIT SEMPRE PIÙ DISCUSSA - ETTORE LEMBO NEWS

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BREXIT SEMPRE
PIÙ DISCUSSA...
NON SI PARLI
DI BREGRET

Tanto ci lamentiamo della situazione in cui si trova l’Italia, ma basta spostare lo sguardo su qualche Paese nel mondo per ritenerci, almeno in qualcosa, quasi alla pari con altri...
Non stiamo accennando a nazioni lontane, magari in altri continenti, e che potrebbero molto più facilmente far contrasto con la nostra cara Italia: stiamo parlando di uno Stato a noi vicino, con cui storicamente intratteniamo rapporti di vario genere, sempre costanti e condizionanti: il Regno Unito, negli ultimi tempi, non riesce a godere appieno di quella proverbiale “calma inglese” che dovrebbe caratterizzarlo. I motivi sono numerosi, da quelli più profondi di tinta politica ed economica a quelli più frivoli legati a faccende di puro gossip intorno alla casa reale. Su questi ultimi aspetti non vorremmo soffermarci, valutando anzi di rimanerne quanto più possibile estranei, per evitare che i nostri lettori, i cittadini italiani in generale, possano etichettare le terre di oltremanica basandosi troppo su dati di minore, se non nulla, importanza.
Sono ormai passati 3 anni dall’evento epocale della Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Decisione politica, questa, che ha scosso gli equilibri mondiali portando ad un graduale riadattamento, specialmente da parte degli Stati dell’UE, in un contesto di mercati e di società provvisoriamente molto meno equilibrato. Le trattative della manovra sono iniziate nel giugno 2017 e hanno condotto, dopo non poche divisioni e tensioni, alla formalizzazione della “exit” il primo febbraio 2020. Da allora i contrasti non si sono fermati del tutto, come per un qualche rassegnarsi alla nuova condizione, ma sono proseguiti con una netta distinzione di schieramenti: da una parte c’è chi sostiene che la Brexit sia stata la spinta di cui il Regno Unito aveva bisogno per rendersi ancora più indipendente e meglio funzionante; dall’altra invece c’è chi, mosso tanto da valori europeistici quanto da una pura difficoltà ad adattarsi al cambiamento, vede l’intera questione come un misfatto dannoso nell’immediato solo per gli altri Paesi del Vecchio Continente, ma nel futuro anche per la stessa nazione protagonista, come un atto di masochismo.
Proprio a sostegno di quest’ultima tesi interviene direttamente il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, primo sindaco di radici pachistane e musulmane nella storia della capitale cosmopolita “a prevalenza liberal da sempre anti-brexiteer, nella quale molti interessi si erano sentiti minacciati fin dall'inizio dallo strappo”, come riporta un’importante testata giornalistica italiana. Egli accusa non la Brexit in generale, bensì la sua applicazione più dura e radicale imposta dagli ultimi governi conservatori, scagliandosi contro i Tories, “accusandoli di aver inflitto un danno immenso al Paese”, e contro il leader neomoderato del Labour, Keir Starmer, “evocando un ripensamento almeno a favore di una Brexit più soft: magari con una riadesione (dall'esterno) al mercato unico e all'unione doganale europea”.
Dalla parte opposta, come ci si potrebbe aspettare, non brillano grandi aperture al dialogo, si preferisce piuttosto “non riaprire un dibattito chiuso per non rialimentare le divisioni del passato”, le quali ruotano pur sempre attorno ad una decisione che, pur presa dal popolo, secondo il sindaco della capitale ha “indebolito l’economia, lacerato l'unione interna, sminuito la reputazione".
Come ha riportato alcuni giorni fa un’altra fonte italiana, dati alla mano “Il Regno Unito arriverà alle prossime elezioni con quasi la metà delle famiglie (il 43%) troppo povere per permettersi un livello di vita decente. La stima è del think tank New Economics Foundation (Nef), secondo il quale 30,6 milioni di persone non potranno permettersi l'essenziale, come mettere il cibo in tavola, entro il dicembre 2024. Questo rappresenta 12,5 milioni di famiglie, circa quattro su 10. Il dato è in crescita [...] rispetto alle ultime elezioni del dicembre 2019, giusto prima della pandemia e dell'avvio della Brexit. [...] Lo studio della Nef è stato realizzato sulla base dello standard di reddito minimo (Mis) per un ‘livello di vita accettabile’, calcolato dal Centro di ricerca di politica sociale della Loughborough University”.
Come agire, dunque, nell’idea di chi ancora riprende l’argomento, per rendere più sopportabile la situazione post-Brexit senza palesare l’idea di una “Bregret”, cioè di una procedura all’esatto contrario, stavolta di reintegro? Secondo Khan occorre “un dibattito pragmatico sui benefici del mercato unico e dell'unione doganale”, ma con quest’espressione non si coinvolge forse l’intera Unione Europea con il suo ormai ricreato equilibrio, che, analizzando i vari Stati, probabilmente si è già piuttosto ben assestato?
In situazioni del genere occorre che qualcuno, presto o tardi, funga da esempio per gli altri? Occorre che qualche Stato nel mondo dimostri chiaramente che ad ogni decisione popolare corrisponde un cambiamento nella società dal quale non si può, nella maggioranza dei casi, tornare indietro? La Brexit è stata proposta ai britannici dai britannici stessi, e da loro votata e approvata: anziché coltivare rimorsi per ciò che si aveva “prima”, mascherandoli col pretesto di voler semplicemente perfezionare la situazione del momento, non sarebbe più opportuno accettare la decisione del popolo e adoperarsi per migliorare in un “dopo”, in un futuro, le sue prospettive e il suo adattamento, ossia la vita stessa della nazione?
Boris Borlenghi
14/01/2023


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