"LIBERTA’ CONDIZIONATA" - ETTORE LEMBO NEWS

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LIBERTA’
CONDIZIONATA,

STAVOLTA IN UN SENSO DIVERSO
“No alla guerra, fermate la guerra. Non credete alla propaganda, vi stanno mentendo”. Il popolo russo che lunedì 14 marzo stava ascoltando il telegiornale si è trovato di fronte queste parole scritte su un cartellone portato all’improvviso in scena dalla giornalista Marina Ovsyannikova, al fine di scuotere gli animi dei suoi concittadini. Essi da giorni stanno ingurgitando senza quasi alcuna possibilità di alternativa tutto ciò che la propaganda di Stato russa sta mettendo in campo per plasmare le loro coscienze e influenzare la loro idea del conflitto in corso. La Ovsyannikova, arrestata e poi rilasciata, non ha rinnegato la sua azione, ed è stata definita un’eroina nazionale da parecchie voci nel coro del mondo, prima fra tutte quella dell’Ucraina, col suo presidente Zelensky.
Sin da quando la Russia si è lanciata all’invasione ucraina, o meglio, secondo le parole di Putin, ha dato avvio all’operazione speciale, il popolo si è visto limitare sempre di più nelle sue più fondamentali libertà, a partire da quelle di parola e di informazione.
Già prima che la situazione degenerasse, la Russia non era mai retrocessa dalle sue posizioni restrittive e talvolta ferree in merito a temi la cui tutela è ritenuta imprescindibile nel resto d’Europa e in tutti i Paesi più civilizzati. Basti pensare semplicemente al diritto che un cittadino ha di esprimere in modo libero il suo pensiero e le sue idee, senza essere condizionato né dalla censura nel momento in cui agisce, né dal timore delle conseguenze a cui potrebbe andare incontro. Pensiamo poi alla facoltà, da parte di chiunque ne abbia interesse, di informarsi in maniera completa, imparziale e seria sui temi che gli sono più vicini, primi fra tutti la situazione del suo Stato e le ripercussioni sui cittadini di eventuali suoi cambi di rotta.
Per dimostrare - globalmente parlando, stavolta - non tanto le diverse gradazioni di libertà culturale, quanto piuttosto i suoi effetti sulle popolazioni che, ciascuna in modo diverso, se la vedono preservare o ridurre, prendiamo a guisa di campione dei cittadini “medi”, alcuni europei e alcuni originari di tre dei Paesi più chiusi e autoritari, come la Corea del Nord, l’Eritrea e la Cina.
Se in prima battuta ponessimo loro la domanda “Chi di voi riesce ad ottenere in modo completo e libero le informazioni che intende ricercare?”, tutti si dichiarerebbero chiamati in causa. Ora, i cittadini europei, rispondendo così, confermerebbero con la loro affermazione quella che è la vera situazione in cui si trovano: direbbero di potersi ben informare perché ciò, nei fatti, è oggettivamente vero. Ma perché ci verrebbe sbattuta davanti la stessa convinzione da quei cittadini i quali in realtà sono totalmente condizionati e possono sperimentare ben poca libertà?
La causa possiamo trovarla dietro alla parola “esclusività”. Cosa significa? Con “esclusività” si intende il fatto che ai cittadini dei Paesi meno liberi non viene negata l’informazione, cosa che li farebbe dubitare subito della loro effettiva libertà, ma viene loro propugnato, in maniera abbondante e precisa, un apparato di notizie perfettamente funzionante, che risponde in toto a tutte le loro domande, approfondisce ogni loro dubbio, si dimostra aggiornato e pertinente… Ideale? Forse, se non fosse per il fatto che si tratta di una messa in scena, di un insieme di falsità, di manipolazioni: una cosa “esclusiva”, chiusa al mondo e orchestrata in modo artificiale. Il cittadino medio cerca, lo Stato fornisce, lui è soddisfatto e si reputa libero, perché sa di trovare tutto. Però lo Stato gli procura una sua precisa versione dei fatti, tale per cui egli possa porre come domande solo quelle per cui l’autorità ha già fornito una risposta preconfezionata.
Ma qualora a questo cittadino medio, che ad esempio è fuggito, si è trasferito o è riuscito a procurarsi altre fonti, si spalanchi l’immenso universo dell’informazione completa, a quel punto nella sua mente avverrebbe uno stravolgimento che gli farebbe realizzare appunto l’esclusività di ciò che ha sempre vissuto, contrapposta alla vera libertà cui si trova davanti.
Possiamo applicare un ragionamento simile anche alla facoltà di potersi esprimere, la cosiddetta libertà di parola, dopo aver analizzato, come abbiamo appena fatto, la libertà di informazione. Chiediamo ai nostri cittadini medi se si sentano liberi di manifestare il loro parere non tanto in assenso alle verità loro propugnate, quanto piuttosto in opposizione ad esse. Gli europei risponderebbero chiaramente in modo affermativo, perché oggettivamente a loro questa facoltà è concessa, mentre cosa direbbero gli abitanti dei Paesi più chiusi? Probabilmente la loro risposta sarebbe non solo molto meditata, ma forse evitata, o aggirata, o comunque la domanda verrebbe in qualche modo elusa.
Perché succede questo? Semplicemente per il fatto che essi, pur nutriti da un apparato informativo che sono portati a giudicare positivamente, si rendono conto di quanto subdolo, mirato ed efficiente sia il modo con cui il loro governo corregge, devia, ostacola, blocca o reprime ogni affermazione, dubbio o pensiero che vada contro alla “verità” ufficiale, cioè a quello che l’autorità propugna e a cui tutti devono conformarsi, pena l’essere fuori dal “coro” sociale, quindi fuori dalla norma. E ciò che si dimostra tale, in questi Paesi viene ridimensionato in modo più o meno duro.
Con questi esempi dimostriamo quanto una popolazione intera - estendendo così quindi il ragionamento “particolare” ad una situazione universale - riesca ad essere influenzata nelle sue scelte di vita, nel suo modo di approcciarsi ad eventi lieti o drammatici, nella sua speranza di poter permanere o meno in quella situazione. E ciò è proprio quello che sta accadendo ora alla Russia: un popolo che, imboccato di versioni dei fatti edulcorate a suo favore e totalmente anestetizzanti, riesce ad essere illuminato da uno spiraglio di verità solo quando essa viene scritta su un cartellone da chi è uscito alla luce del sole per poterla comprendere e diffondere.
(Boris Borlenghi)
17/03/2022
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