2024 - ETTORE LEMBO NEWS

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PERSONA E COMUNITA'
L'uomo persona
Certamente l'individuo è sostanza, cioè realtà completa esistente e chiusa in se stessa, incomunicabile nel suo essere concreto, distinto da ogni altro.
Fra tutte le altre sostanze, gli individui di natura razionale ricevono il nome di persona "per sé una", "hypostasis", soggetto sussistente, e insomma, sostanza individuale di natura razionale. L'individualità, nella definizione di persona, designa il modo particolare di essere che conviene alla persona, cioè l'esistere conseguentemente l'agire autonomo.
La persona è dunque una sostanza individua, cioè una realtà interiormente indivisa e distinta da ogni altra (altrimenti l'uomo non sarebbe un essere uno, ma un aggregato di elementi, facoltà e atti, che resterebbero slegati tra di loro), ma allo stesso tempo, per la comunanza di natura tra gli individui umani, per la solidarietà istintiva che si forma tra di loro, per l'ordinamento di tutti a una finalità comune, si rivela come eminentemente sociale. Anzi la persona, qualunque sia la ricchezza del proprio essere e delle proprie facoltà, ha una connaturale tendenza ed esigenza di associarsi con gli altri allo scopo di potenziare l'azione e l'efficienza propria ed altrui.
Vi è una tendenza naturale, quasi incontenibile degli esseri umani, che li porta ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che pur essendo da ciascuno desiderati superano la capacità di cui possono disporre i singoli individui. L'uomo, nella storia, non si presenta mai come un solitario, nemmeno agli albori della sua esistenza quali ci risultano dalla preistoria. Anzi la Bibbia, nell'offrire un racconto popolare della creazione, dice che Dio, vedendo l'uomo solo, come era uscito dalle sue mani, ritenne che ciò non era bene e cominciò a dargli una compagna simile a lui: primo germe della società.
Questa tendenza ad associarsi, che deriva dalla sua stessa natura e si sviluppa su ogni piano dell'esistenza, ha una duplice molla: a) il bisogno di reciproco aiuto, in quanto la persona, da sola, è normalmente incapace di soddisfare alle proprie necessità anche più elementari e inderogabili (società di necessità); b) il bisogno di espandersi e comunicare con i propri simili, nei quali l'uomo scopre la stessa natura e le stesse esigenze, per aiutarli a comunicare loro il proprio bene (società di amicizia). Anche quest'ultimo istinto, generalmente meno considerato, è una spinta alla società.
Purtroppo in questo naturale processo di espansione comunitaria interviene l'egoismo che contrasta con le istanze della socialità e della comunione, ma il senso più profondo e autentico della natura umana resta quello sociale.
Il messaggio, l'opera Redentrice di Cristo e l'azione del Cristianesimo intervengono nel dinamismo sociale dell'essere umano per ristabilire l'equilibrio, ricomporre l'unità e liberare gli uomini dalla tirannia dell'egoismo, dando nuovo vigore alle forze della società.

I raggruppamenti sociali
La vita associativa si articola pertanto in un certo numero di comunità e società (per ora non spieghiamo la distinzione di questi due termini): la società familiare; la società civile e politica, in seno alla quale si formano le associazioni professionali, economiche, culturali che perseguono fini particolari: scientifici, artistici, letterari, assistenziali, caritativi, industriali, sindacali ecc.; la società religiosa, che tende ad avere un suo rilievo distinto da quella politica, specialmente nel mondo cristiano, dove la Chiesa, comunità di origine e finalità soprannaturale, è fondata per riunire i credenti in Cristo e condurle al loro destino ultraterreno, trascendente ogni altra formazione di società umana, anche politica.
L'individuo umano integrandosi in queste varie forme di società, esce dalla propria solitudine, vince il proprio egoismo e stabilisce rapporti di collaborazione in una sinfonia di persone componenti la comunità. Questo processo di socializzazione nulla toglie alla persona umana, che nel suo associarsi e integrarsi conserva intatta la propria vocazione, il proprio essere, la propria autonomia di esistenza e di coscienza. Essa non viene assorbita né soggiogata dalla società, ma conserva il suo primato sulle strutture e gli organi che la società, che non può mai prevalere sull'uomo, crea e impiega a suo servizio.

Persona e società
Il rapporto persona-società è sempre stato un punto critico dell'organizzazione e della vita della comunità politica. Per risolverlo nel mondo moderno si sono affrontate due correnti opposte: individualismo e socialismo (in senso generico), caratterizzate, come risulta dagli stessi nomi, dalla estrema affermazione o dall'individuo o della società, in senso esagerato ed esclusivista, come avviene in ogni forma di estremismo.
Le due posizioni hanno basi filosofiche che toccano la stessa natura dell'uomo.
Secondo la teoria individualista, l'essere sociale non è dovuto allo sviluppo di una virtualità insita nella natura umana, ma è il risultato di un contratto stipulato dai cittadini o per uscire da uno stato di egoismo e di guerra, conseguenza delle passioni di natura cattiva dell'uomo (Hobs), o per porre un freno alle funeste condizioni createsi tra gli uomini con l'allontanarsi dallo stato di bontà della natura, col progresso della cultura e delle scienze (Rousseau). A questo gruppo individualista appartengono le teorie evoluzioniste, il liberalismo, sorto da una reazione all'assolutismo, e come posizione-limite, l'anarchismo, che intende realizzare l'ordine sociale su un terreno sgombro da ogni potere attualmente esistente.
Sulla sponda opposta, un accentuato e a volte esasperato sociologismo, che per varie vie deriva dal monismo evoluzionistico hegeliano, porta alla negazione dell'individuo in favore del primato della società, specialmente nel totalitarismo e nel collettivismo (a cui è legato il marxismo). La società si organizza allora secondo le leggi di un meccanismo duro e oppressivo, dal quale l'uomo, ridotto quasi solo o principalmente ad agente economico, viene mortificato nelle sue esigenze e aspirazioni di ordine spirituale e specialmente nella sua libertà.
Da ricordare anche l'esistenzialismo, che partendo dall'affermazione dell'assoluta indipendenza della persona, del tutto libera al di sopra di ogni norma esterna, concepisce la vita sociale come una conseguenza del conflitto delle coscienze e delle concupiscenze degli individui, fino al punto di asserire: "gli altri ecco l'inferno" (Sartr).

Il personalismo cristiano
Contro l'individualismo ad oltranza e contro ogni concezione sociologica e totalitaria, si è sempre sviluppata la dottrina del personalismo cristiano, che getta le sue radici nell'antropologia di San Tommaso d'Aquino.
Ogni singolo uomo è per rapporto alla comunità come la parte verso il tutto, e dunque a questo titolo è subordinato al tutto; come persona, ha in se stesso una vita e dei beni, dei valori, che oltrepassano la sua ordinazione alla società: così la vita interiore, la vocazione, la libertà, i diritti fondamentali derivanti dalla stessa natura dell'uomo.
Il bene comune, che è oggetto e scopo del "tutto" sociale, non potrà mai risolversi in una sopraffazione o lesione del bene autenticamente umano della "parte", anche se esige la cooperazione delle attività sociali di tutti i membri della comunità.
Così il personalismo contrappone all'idealismo e al materialismo astratti un nuovo realismo astratti un nuovo realismo, come appello alla pienezza spirituale dell'uomo singolo, punta e strumento della storia universale ma anche appello alla pienezza dell'umanità come un tutto da realizzare in ogni momento e atto, sicchè nessun problema può essere pensato e affrontato senza questo doppio riferimento. Vita personale, vita privata e vita pubblica, senza confondersi in una volgarizzazione generale di ogni esistenza, devono offrire a tutti le loro diverse possibilità, senza intossicarsi nel proprio isolamento, ma fortificandosi mutuamente con l'intercomunicazione, rompendo quindi l'egocentrismo della vita individuale
Jacques Maritain a sua volta, contrappone un umanesimo integrale, alle varie forme di umanesimo carente dell'individualismo e del socialismo come messaggio e sistema che tende a rendere l'uomo integralmente umano e promuovere lo sviluppo delle capacità originali della sua natura, le sue forze creative, facendo partecipe di tutto ciò che può arricchirlo col patrimonio della cultura, della spiritualità e della civiltà umana con l'impiego delle forze del mondo fisico come strumenti della sua libertà.
E' l'umanesimo plenario di cui parla Paolo VI nella Enciclica "Populorum Progressio". Oggetto ne è lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.

Oggettività di base
La dottrina sociale della Chiesa sul rapporto tra persona e società deriva dalla visione oggettiva dell'uomo, considerato come persona che mantiene tutto il suo proprio valore autonomo anche a far parte della società umana. L'uomo per sua natura è ordinato alla vita sociale, ma non subordinato alla società in tutto se stesso. La società pur avendo una sua finalità superiore agli interessi dei singoli individui deve servire all'uomo come mezzo per il raggiungimento del suo scopo ultimo. La vita sociale non si svolge necessariamente sul filo di un antagonismo insolubile tra individuo e società, ma tende piuttosto all'armonizzazione di tutti i rapporti in un "tutto" che permetta il massimo incremento delle virtualità operative in ordine al progresso e all'elevazione della persona umana.
Don Walter Trovato
08/04/2024
Socialità e egoismo,
sentimenti e forze in contrasto
La metafisica della persona e della società fonda una psicologia e un'etica, che presiedono allo svolgersi della vita sociale. Ogni uomo che nasce entra nell'universo e vi si armonizza come termine di relazione con Dio e gli altri uomini e le cose. Per questo è una persona in sè consistente, ma essenzialmente relazionata, cioè inserita in un complesso di rapporti con altri-da-sè.
Il senso sociale, o senso della socialità, è dato dalla coscienza dei rapporti con gli altri uomini, del comune legame di ideali e di interessi, della solidarietà che, sola, rende possibile ad ognuno la pienezza del vivere. Esso si traduce nella tendenza della persona umana a comunicare con gli altri, cioè a far parte agli altri di ciò che è proprio, come a ricevere dagli altri quanto è necessario per il bene proprio e comune.
Per esempio, nel conoscere la verità, per naturale tendenza l'uomo rifugge dal tenerla prigioniera dentro di sè, ma la offre agli altri. Di qui le molteplici forme di comunicazione interpersonale: dalla semplice trasmissione di una notizia, alla partecipazione di nozioni, idee, giudizi, valori fino alla comunicazione dei più intimi pensieri. Nell'amare, l'uomo espande sè negli altri diffondendo, nel contempo, gioia e felicità. Di qui tutta la gamma di espansioni umane: dall'amicizia in senso comune, a quella coniugale e familiare, al patriottismo, allo spirito comunitario nazionale e internazionale, alla comunione religiosa ed ecclesiale, fino al sacrificio supremo della propria vita per il bene degli altri.
Con questo senso sociale, purtroppo, contrasta l'istinto egoistico che di fatto pullula in ognuno, come sopravalutazione di sè e tendenza a rinchiudersi nel proprio io egocentrico, per pascersi di sè e possibilmente degli apporti degli altri, considerati e sentiti come "altri", cioè estranei all' "io" e alla sintesi dell'io e del tu nell'unico "noi" comunitario.
Nell'uomo dunque si agitano due forze contrastanti, tali da renderlo nello stesso tempo estremamente comunicante ed estremamente impenetrabile. Perciò ognuno, a seconda della prevalenza di una inclinazione o dall'altra, della socialità o dell'egoismo, diventa un operatore di comunione o di disgregazione, tende a unirsi con gli altri in un comune intento di comune beneficio oi ad esercitare su di essi un dominio dispotico.
Secondo gli psicologi appartengono alla sfera della socialità l'altruismo, la tolleranza, la socievolezza, l'affettività, ecc.; mentre l'aggressività, l'ambizione, la vanità, il delirio di grandezza ecc., appartengono alla sfera dell'egoismo. I sociologi a loro volta fanno derivare dal senso sociale tutte le forme di raggruppamento, dai semplici aggregati di gruppi e associazioni, fino alla società globale, che si attua nella comunità civile e religiosa, nazionale o universale; ogni sorta di deviazione della tendenza comunitaria - asocialità, anarchia, criminalità ecc. - è invece attribuita all'egoismo.

L'educazione alla comunione sociale
Perchè l'uomo possa attuare ed esprimere compiutamente le virtualità sociali della propria personalità, occorre educarlo a vivere in comunione con gli altri. E’ questione di sensibilità, di razionalità, anzi soprattutto di spiritualità…
L'educazione in generale comporta un elemento formale: diciamo che se una persona è ben educata se osserva delle regole di comportamento esteriore stabilite dall'uso ed è capace di un certo autocontrollo; ed un elemento sostanziale che si attua con l'acquisizione dei valori fondamentali per la vita sociale, quali l'onestà, la bontà, la serietà, la generosità, la modestia, la fedeltà ai propri doveri, il senso di responsabilità.
Naturalmente e soprattutto in questo secondo senso che va intesa ed impartita l'educazione al senso sociale, da attuarsi sotto una triplice forma:
a) a livello sentimento, l'educazione del senso sociale porta l'individuo a dividere con gli altri i propri stati affettivi, alla gioia di vivere insieme, alla compassione (nel senso etimologico di patire con gli altri), e quindi intercomunicare in emozioni gradevoli nel campo estetico morale, intellettuale, religioso, ecc.;
b) a livello di razionalità, si tratta di innestare nello spirito i motivi ideali della comunione sociale, come idee-forza che determinano giudizi e decisioni, propensioni ed azioni di per sè tendenti alla socialità per una consapevole maturazione interiore.
c) a livello di spiritualità, si tratta di formare una superiore comunione degli animi nella luce, nella bontà, nella passione per i grandi ideali di verità e di vita: ma qui subentra la Chiesa, o un'altra forma di religione organizzata, o qualche gruppo solidale di ispirazione mistica ed etica comune, che abbia vivo il senso della socialità. Per la Chiesa si tratta di fondare la comunione tra gli uomini sul riconoscimento di Dio come Padre comune e di illuminarla all'eterna comunione di Dio con se stesso, da cui deriva la comunione mistica degli uomini con Dio, il corpo mistico fondato sul presupposto dell'universale solidarietà umana nella natura, nel bene e nel male, attuato storicamente con l' incarnazione del Verbo e col sacrificio del Calvario, e aperto all'attesa della redenzione integrale nel compimento finale della vita e della storia, ad opera di Cristo.

La socialità come dimensione naturale della persona autentica
In ogni caso la socialità non è solo un "di più" della persona, ma una sua dimensione psicologico-etica, una sua piena realizzazione, una vittoria sull'isolamento (egoismo) e una espansione che le permette di sviluppare nella comunione con gli altri il proprio essere morale. Perciò la socialità è di sua natura un valore etico, spirituale.
L'egoismo è deleterio perchè chiude l'uomo in sé e lo divide dagli altri, rende impossibile i rapporti umani e perciò ha conseguenze fatali in ogni campo: familiare, professionale, politico, religioso. Si direbbe che l'egoismo è l'inferno dell'io chiuso in se stesso, diventato incapace di comunicazione: un inferno antropologico e psicologico, a cui l'uomo si autocondanna nella misura in cui fa di se stesso il polo esclusivo di se, della vita, del mondo: una concentrazione sul nulla.
La comunione invece è l'espansione e insieme arricchimento. Ma per essere reale, essa non può consistere solamente in una vicinanza o in una coesistenza, bensì risolversi in un mutuo accoglimento, in una reciproca donazione, per cui tra realtà ontologicamente incomunicabili, come sono gli individui, si costituisce una simbiosi spirituale che non può non riflettersi sul piano della collaborazione sociale. Ma intanto la persona stessa, nel comunicare, si afferma e perfeziona. Il valore profondo di un uomo si misura nella sua capacità di comunione, che non è data solo da un insieme di qualità esteriori (amabilità, spigliatezza ecc.) e nemmeno è solo il frutto di qualità interiori (sensibilità, raccoglimento, delicatezza, bontà, attenzione), ma è essenzialmente commisurata alla disponibilità interiore, al dono che uno sa fare di se stesso per colmare l'altro seguendo, in fondo, anche qua, la legge evangelica del dare senza pretendere di ricevere, del donarsi spontaneamente e gratuitamente raggiungendo così la beatitudine dell'amore. La comunione, cioè la vittoria sull'egoismo, porta dunque a tale perfezionamento dell'individuo da renderlo veramente persona.
Se personalità significa uno sviluppo delle energie e capacità dell'uomo, che si consolidi in una condizione permanente di dominio e di controllo dei principi operativi, ossia nella maturità psicologica-etica, radice e coefficiente ne è la socialità.
E' un dato acquisito per la psicologia moderna che ha definitivamente abbandonato il termine "individualità" preferendovi quello di "personalità", sotto gli influssi degli studi e delle esperienze che hanno messo in rilievo l'importanza dei fattori sociali nella formazione dell'Io.
Oggi per individualità si intende l'originalità ad ogni costo, l'insofferenza per ogni forma di cosiddetto conformismo, l'egocentrismo che può portare all'isolamento e all'anarchia, quasi sempre per un certo infantilismo che implica una mancanza di integrazione e quindi di maturità umana; personalità significa invece sviluppo di sé fino all'auto-dominio mediante l'integrazione del soggetto nel contesto sociale secondo le istanze della stessa natura dell'uomo, che è aperta agli altri e ne richiede un supplemento di cultura e di vita nello stesso darsi e donarsi.
La vita sociale effettivamente aiuta l'uomo, riempie la sua solitudine, lo integra, lo corregge, lo libera dal narcisismo e dalle frustrazioni che così spesso si determinano in lui quando è isolato e asociale.

L'individuo antico e moderno
La tendenza naturale dell'uomo alla socialità non trova la sua adeguata interpretazione o è addirittura negata nelle filosofie e mistiche dell'isolamento, antiche e recenti.
L'antica sofistica, per esempio, è la espressione culturale forse più tipica della crisi spirituale e politica del mondo ellenico. L'uomo dei sofisti è l'uomo solo, chiuso nel cerchio delle sue sensazioni e delle sue opinioni mutevoli. Non ha senso sociale. La sua stessa parola non è comunicazione, dialogo, ma monologo e il rapporto a cui essa dà luogo è come un incontro e anzi un urto fatale di uomini soli.
Così pure lo stoicismo celebra la dignità del saggio che in aristocratica solitudine si erge libero e imperturbabile di fronte agli eventi esterni, anche se l'etica stoica, egocentrica e raffinatamente individualistica, non dimentica tuttavia di fare appello alla solidarietà di tutti gli uomini fondata sull'unità del logos divino che determina l'unità cosmica.
L'epicureismo nella sua dimensione etica è la celebrazione dell'individuo che si chiude nel breve cerchio della sua esistenza finita eri trova la sua felicità nell'armonioso equilibrio del corpo e dell'intelligenza, lontano dagli affanni e dalle responsabilità della vita sociale e politica.
Anche le varie forme di solipsismo, individualismo, egotismo che si sono espresse nei tempi moderni sul piano culturale, con riflessi su quello sociale, partono tutte dalla mi-sconoscenza del valore che ha la società per la formazione dell'uomo integrale, o addirittura dall'asserzione della sua negatività in relazione al bene dell'individuo (pessimismo di Hobbes, per esempio,).
Non è neppure da ignorare il rilievo che nel nostro tempo ha preso la patologia degli asociali e antisociali, che costituiscono un fenomeno di ordine psico-sociologico che ha grandi riflessi su tutta la comunità. Si sa quali ne siano la ragione e la genesi.

Fenomeni patologici e pedagogia della società
In ogni momento della sua vita l'uomo costruisce e nutre la propria personalità in e attraverso contatti con gli altri; normalmente non può accettare o desiderare di comparire socialmente, ma invece sperimenta e manifesta un bisogno intimo degli altri, cioè il bisogno di contatti e di scambi, di comunicazione e di simpatia, di collaborazione e di donazione di sé. perciò chi si sente ignorato o trascurato, sperimenta tale condizione come una perdita della sua esistenza insieme personale e sociale. Chi non riesce ad essere qualcuno al livello psico-sociale della sua esistenza, "scompare". Niente è per lui così conturbante, così esiziale alla vita psichica quanto alla sensazione di essere un derelitto o un isolato.
Ora questo può avvenire per una condizione psico-patologica, per ragioni costituzionali o a causa di frustrazioni subite: si hanno così gli asociali, che vivono in contatto con gli altri, ma sperimentano questo contatto negativamente: perdono fiducia, la capacità di comunicazione, il senso della vita di comunione, rinchiudendosi in sé stessi; oppure assumono atteggiamenti di aggressione e di rivolta contro la società, e diventano pertanto anti-sociali.
Una sapiente pedagogia della socialità dovrebbe prevenire e curare tali forme di vera patologia, per ridare a questi individui la normalità e recuperarli alla società.
Una dottrina sana e solida della società è la base per tale opera educativa.
Don Walter Trovato
25/03/2024
ETICA SUI RAPPORTI SOCIALI
SECONDA PARTE

Con attenzione ancora maggiore va condotto, oggi, il confronto della ideologia e dei programmi politici marxisti con la dottrina evangelica e cristiana. Questo è infatti un problema di viva attualità. Esso abbraccia anche la questione del comunismo e dei partiti in cui esso prende corpo, e dei regimi "socialisti" che si ispirano e sono coerenti col marxismo.

ESSENZA DEL MARXISMO
Come scriveva Pio XI, "assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo".
"Il comunismo è la pura dottrina, è il puro movimento marxista": era la definizione data dalla Piccola Enciclopedia del Socialismo e del Comunismo. Non è mai stata cambiata questa definizione, nonostante i ripetuti tentativi dei dirigenti comunisti dei paesi occidentali (non ancora al potere), di distinguere tra la milizia degli iscritti al partito e la loro fede religiosa o filosofica.
E il marxismo non era una astratta teoria filosofica, nè un semplice metodo storiografico, e neppure un limitato corpo di dottrine economiche e politiche ma una completa concezione del mondo poggiate sul materialismo dialettico e storico in cui questi elementi sono presenti e organicamente fusi.
Si hanno dunque nel comunismo: un fondamento, il materialismo dialettico e storico; le parti integranti, la teoria filosofica, il metodo storiografico, le dottrine economiche e politiche; il risultato della fusione organica, una completa visione del mondo. Il marxismo infatti pretende di spiegare il mondo (compreso l'uomo): la sua origine, le sue leggi, la sua intima natura, il suo ultimo fine.
Anche a prescindere dalle teorie filosofiche più astratte e si può dire astruse che ne sono il fondamento, basti osservare che il comunismo aveva la sua anima nel materialismo storico, il quale interpretava la storia per mezzo del materialismo dialettico. L'evoluzione della materia, dei viventi, dell'uomo, è la conclusione per tappe della lotta interna della materia in continua progressione da un piano inferiore a uno superiore; evoluzione a "spirale ascendente". Marx insisteva, soprattutto, nel sostenere che il meccanismo della dialettica aveva ugualmente luogo nello sviluppo delle società umane. Dall'uomo primitivo che vide accendersi in lui la prima scintilla dell'intelligenza, agli uomini civilizzati di oggi, la razza umana è stata costruita a poco a poco dalla dialettica che pervade il cosmo. La comparsa dell'intelletto ha avuto come risultato una accelerazione del processo di cambiamento, perché ha introdotto una nuova spinta e un nuovo potenziale (azione riflessa e, dopo Marx, coscientemente diretta) nelle forze in conflitto nella lotta che è l'essenza dell'universo umano, come di quello materiale. Di fase in fase, l'uomo ha creato strumenti di produzione, ha esteso le sue relazioni sociali. Così è giunto, attraverso il "comunismo primitivo" l'orda, l'antica società schiavista, il feudalesimo, la borghesia, fino al capitalismo e al periodo moderno. E' ora all'ultima soglia, prima della finale conquista sociale delle forze produttive, ultimo passo per la totale liberazione dell'uomo (risultato finale della dialettica della materia) da tutte le contingenze e da ogni forma di servitù. In breve, secondo i teorici marxisti, il significato del divenire dialettico, e quindi il significato e lo scopo della storia, è il dominio della storia, è il dominio delle forze della natura, da parte dell'uomo, che è un intelletto prodotto dalla materia. Tutta l'azione storica del partito comunista è generata da questa concezione fondamentale.   

OPPOSIZIONE AL CRISTIANESIMO
Notiamo subito che anche il Cristianesimo è una completa concezione del mondo e dell'uomo, di cui spiega l'origine, la natura e l'ultimo fine. Ora il comunismo si basa sul materialismo dialettico e storico: una concezione del mondo limitata alla terra ed alle leggi intrinseche della materia. Il Cristianesimo si basa su due verità fondamentali, che la ragione e il consenso dei popoli hanno sostenuto: cioè che Dio esiste (e tutto procede da lui), e che egli è il rimuneratore dei buoni, cioè l'origine della legge morale ed il fine ultimo del mondo e dell'uomo; e su una verità storica incontrovertibile: la rivelazione, completata e culminata nella venuta del Figlio di Dio sulla terra, dove è vissuto, ci ha redenti con la sua morte, è risorto ed ha fondato la Chiesa per continuare la sua opera.
Tra le due concezioni non c'è un solo punto di contatto. Sono due mondi diversi, antitetici. E' chiaro che per il cristiano non vi può essere alcuna alleanza col credo comunista, alcuna accettazione nemmeno parziale né della sua filosofia né delle linee di azione dei suoi aderenti. Dati i suoi punti di riferimento, la sua fede nella connessione e interpretazione di tutti i processi, la interdipendenza di tutti i fenomeni, e la sua insistenza nel sostenere che le attività spirituali dell'uomo non sono che il riflesso di fenomeni sociali ed economici, il cristiano non può accettare né agire secondo uno solo di questi aspetti, per esempio le tesi socioeconomiche, senza contribuire a promuovere il tutto. In breve, senza aiutare la causa ateistica.
Di più - questo ha importanza in modo speciale per il cristiano -, si tratta di una causa "messianica". Giacchè il messianismo penetra in profondità nella coscienza del marxista, ed è parte essenziale della dottrina stessa del materialismo storico. Perciò i suoi seguaci sono indotti a credere di stare "dalla parte della storia", di essere "gli strumenti consci del processo storico dialettico", e di identificarsi con le stesse leggi che governano l'intero universo materiale. Essi dunque, più di ogni altro, hanno il diritto di modellare le menti e di offrire una risposta ad ogni problema.
Applicata alla religione, la dottrina del materialismo storico porta alla seguente situazione: è necessario nello stesso tempo attaccare le organizzazioni religiose, cercando di impadronirsi del loro controllo e svuotare la religione come frutto di ignoranza, attraverso l'educazione scientifica, sociale e politica dei suoi seguaci. In questo modo si spezzano le "sovrastrutture religiose", accelerando il processo di cambiamento di moto.

ELEMENTO POSITIVO DEL SISTEMA IDEOLOGICO-POLITICO MARXISTA
Indubbiamente in questo farraginoso sistema una parte di verità c'è, riconosciuta anche dalla Chiesa, e consiste nell'intento di migliorare la sorte delle classi lavoratrici, togliere gli abusi reali prodotti dall'economia liberale, ottenere una più equa distribuzione dei beni della terra e, possiamo aggiungere, aspirare a una maggiore intesa e fusione internazionale. C'è, nel programma politico del marxismo, l'assicurazione dei beni materiali per tutti. C'è un sogno di perfetta giustizia sociale, capace di attrarre molti uomini che non cercano il loro personale interesse, bensì un ordine migliore, E' per questo che il programma politico marxista esercitò un suo particolare fascino su molte intelligenze e sulle masse, non ancora piegate dalla forza bruta. Ma, come diceva il capo comunista ungherese Laszlo Rajk, impiccato dai suoi compagni nel 1949, si tratta di "un fondo di verità affogato in un diluvio di menzogne". La tanto decantata "dialettica" non era che un nuovo termine per denotare cose molto antiche.
In realtà il sistema marxista si presenta come un blocco monolitico, sicché non si può dissociare, come pensano alcuni ingenui il programma economico-sociale, d'altra parte tanto discutibile, dalla dottrina filosofica. Un Accurato studioso del marxismo, il Ducatillon, ha scritto "E' impossibile essere comunisti socialmente senza essere tali filosoficamente, proprio come non si può essere cattolici facendo astrazione dal dogma, per ritenere soltanto l'insegnamento sociale della

LATI NEGATIVI
Dal punto di vista filosofico, il marxismo è un cumolo raccogliticcio di filosofie, ormai da tempo superate, del sette-ottocento, come l'economia e la sociologia di Marx, sono nate nell'ambiente, che oggi è soltanto un ricordo, della Germania, della Francia e dell'Inghilterra -le tre nazioni in cui visse l'agitatore di Treviri-, così la sua filosofia risente dei pensatori del tempo, Hegel, Feuerbach, e Darwin. Anche un dilettante di storia della filosofia sa bene che il distacco da questi maestri avvenne per opera degli stessi discepoli e oggi non esiste filosofo serio che si riallacci direttamente.ad essi.
Del resto sana ragione rifugge dalla riduzione della realtà alla sola materia. E' possibile che esista lo spirito senza materia. Ma l'esistenza della materia senza lo spirito è un assurdo, per il semplice motivo che la materia non può avere il suo principio in se stessa, anche si tratta di materia dotata, come affermano gratuitamente i marxisti, di "autodinamismo". Proprio perchè dialettica, il continuo ed inarrestabile cambiamento, la materia ha bisogno di una causa non materiale, che noi chiamiamo spirito. Il monismo rigoroso e inflessibile di Marx è contro la realtà. Affermare la esistenza della sola materia significa, filosoficamente declassarla.
Del resto la poca dimestichezza del marxismo con la filosofia, quindi con la sana ragione, si rileva dal fatto che esso è intrinsecamente incoerente. Mentre attraverso il processo dialettico afferma che tutto cambia, che niente è fisso, esso vuole arrivare al comunismo come allo stadio finale.
Logicamente anche il comunismo, se venisse realizzato, si porrebbe come tesi, e verrebbe, quindi superato da una antitesi per comporre una ulteriore sintesi. Ma su questo punto i marxisti sfuggono alla discussione, o cercano delle soluzioni in una nuova dialettica nell'ambito della società comunista (Stalin, Mao-tse-tung).
Il colmo, che dimostra meglio la mostruosità filosofica del marxismo, si ha nella negazione del principio di non contraddizione per cui ogni sistema che si afferma come vero nega la verità del contrario (altrimenti quella stessa affermazione non avrebbe senso). Il principio di identità quale supremo principio del reale (che l'essere sia identico a se stesso), coincide col principio di non-contraddizione (che non si possa contemporaneamente affermare e negare la stessa cosa sotto il medesimo aspetto). Ora la dialettica marxista pretende innestare la contraddizione nella costituzione stessa dell'essere.
Ma più che a livello filosofico (o anche teologico), la critica al marxismo e ai sistemi sociopolitici che ne derivano va fatta dal punto di vista economico e sociale, perché questo è il territorio su cui il socialismo "scientifico" ha preteso impiantarsi.
Dal punto di vista economico, notiziamo anzitutto che la critica che Carlo Marx fa del regime capitalista non è scientifica. Accanto a intuizioni, parzialmente giuste, vi si rilevano troppe approssimazioni, identificazioni semplificatrici apriorismi filosofici. Economisti di gran nome contestano la teoria del valore-lavoro e l'applicazione di essa alla merce-lavoro. Ci sono altre sorgenti di plusvalore in un sistema che non è mai in equilibrio, come i progressi e le innovazioni tecniche.
Inoltre Marx, partendo dal principio dell'impossibilità di eliminare le due barriere costituite dal "tempo" e dallo "spazio", per raggiungere l'equilibrio fra la domanda e l'offerta, costruisce la sua teoria socialista, secondo la quale il solo mezzo per giungere al regolamento dell'economia è il controllo esercitato dagli organi governativi. Ora i mezzi tecnici odierni, sfruttati pienamente, sono in condizioni di vincere le barriere del tempo e dello spazio, dotando il mondo di una rete amplissima di vie di comunicazione e di trasporto. Gli schemi di Marx "sono oggi null'altro che delle dottrine sorpassate, che potevano essere di moda nel secolo XIX.
Infine la insufficienza della dottrina economica marxista si può rilevare sia dalla tendenza del socialismo moderno, verso il capitalismo, sia dalle conseguenze del suo sistema economico.
La tendenza verso il capitalismo si può rilevare dai seguenti fatti: distribuzione dei salari secondo la natura e la portata dei servizi, senza tener conto del valore del tempo di lavoro del contributo dei singoli alla produzione; concorrenza fra gli enti incaricati delle vendite; iniziativa individuale e profitti nelle aziende agricole collettive; accumulo di capitali e loro uso da parte dei privati; diritto di eredità della proprietà personale concesso dalla costituzione; aumento sempre crescente della diversità di reddito fra i vari gruppi; creazione di nuove classi sociali; affari internazionali trattati sulla base capitalista ,ecc.
Le conseguenze del sistema economico marxista ci dicono che, nonostante parziali successi in alcuni settori, nonostante l'impulso di industrializzazione, il livello di vita, dove si applica questa teoria, è ancora ben lontano da quello medio delle nazioni occidentali più progredite.
Dal punto di vista sociale, non si può ignorare che il marxismo, tradotto nel comunismo, disgrega i fondamenti del retto ordine sociale, quali la proprietà privata, la famiglia, il bene comune.
Della proprietà privata, almeno per quanto riguarda i mezzi di produzione, nega il diritto: diritto naturale, cioè voluto dal concetto stesso di uomo per la conservazione e lo sviluppo di una vera personalità umana. Se il comunismo, in linea di fatto, ha dovuto scendere, in proposito, a qualche parziale ed insignificante concessione, ciò dimostra quanto esso sia contro natura.
Le medesime osservazioni si possono fare riguardo alla famiglia. Marx respinge il matrimonio tradizionale, considerandolo una forma di proprietà privata, e, come tale, una degradazione, perchè disumanizzante. L' istituzione familiare, come il diritto sul quale è obiettivamente fondata, fa parte della sovrastruttura della società e dipende dalle strutture economiche.
Il bene comune, infine, è annullato dal marxismo, che finisce non solo nel disordine, ma anche nel dispotismo e nell'oppressione. "Non più sfruttatori nè sfruttati" è il grido della guerra immediata e il miraggio della pace futura.
Ma il comunismo una volta arrivato al potere, al posto della classe dei capitalisti crea le categorie dei capi, dei funzionari statali, dei poliziotti, e al posto della classe proletaria la categoria di coloro che devono solo obbedire.
Dal punto di vista che potremmo dire umanistico, visto che si è parlato tanto di "umanesimo marxista", come proposta di realizzare “l’uomo totale", possiamo riconoscere l'attrazione ma non senza far notare l'ambiguità di questo progetto di fare dell' uomo il soggetto, e nel medesimo tempo l' oggetto ultimo dell' azione, il suo stesso prodotto anche quando essa sembra produrre degli oggetti esteriori: "l'uomo totale” è il soggetto vivente, dapprima dilaniato, dissociato e incatenato alla necessità e all'astrazione. Attraverso questo spazio egli va verso la libertà: diviene natura, ma è libero.
Diviene totalità come la natura, ma dominandola.
Qui non dobbiamo discutere l'insieme delle tesi soggiacenti a queste affermazioni. Notiamo tuttavia con Hyppolite che la produzione marxista dell'uomo mira ad essere, malgrado certe espressioni troppo oggettiviste di Marx, l'Assoluto che è Soggetto, cioè l'uomo divenuto universale, il Dio che si fa lui stesso, invece che un Dio contemplato in un cielo lontano. "L' uomo si appropria del suo essere universale in maniera universale, dunque lo fa in modo totale" (Marx). Ma in conclusione si arriva a questo, che l'uomo comunista diviene "quel capitale più prezioso", di cui parlava Stalin; una realtà umana subordinata ai valori dell'economia e al dominio del potere, spesso persino al terrore. La storia marxista conduce fatalmente non al rispetto della persona umana, ma al suo disprezzo.
L'uomo totale vero consiste nella persona umana considerata in tutti i suoi aspetti, di corpo (materia), di spirito (non materia), e per i cristiani, di figliolanza divina (soprannaturale). Il marxismo teoricamente considera l'uomo solo sotto l'aspetto di materia (l'uomo economico), e in pratica non fa che devastare la sua vita spirituale e fisica.
Le uccisioni in grande stile, le deportazioni, gli internamenti operati dai regimi comunisti in tutti i paesi da essi dominati, e che costituiscono la più colossale offesa all' uomo della storia derivano da quella falsa concezione materialistica dell'uomo mutilato dei suoi valori più alti e anzi svuotato del suo significato personale.
Ma si badi: lo spettacolo orrendo delle soppressioni e delle oppressioni fisiche impallidisce davanti allo spettacolo, davvero mostruoso delle stragi di ordine spirituale, delle devastazioni delle coscienze, delle costrizioni, torture, umiliazioni di ordine spirituale, della massificazione intellettuale e morale dell'immenso gulag dello spirito a cui si cercò di ridurre intere nazioni. Il marxismo rappresenta il tentativo più colossale e più riuscito di quella uccisione di anime, di cui Gesù diceva "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima" /Mt. 10,28).
Dal punto di vista dell'etica umana e cristiana, bisogna affermare senza esitazioni che il marxismo è profondamente, essenzialmente immorale.
Nell'intento di rimediare a molte innegabili ingiustizie commesse verso le classi più povere, è pur sempre immorale calpestare diritti non meno reali di quelli dei poveri e operare il sovvertimento ingiusto di tutte le posizioni acquisite.
E' immorale l'essenziale totalitarismo, che sopprime ogni voce, non consente la discussione con nessun altro punto di vista, elimina qualsiasi opposizione, costringe le persone all'abdicazione dei loro fondamentali diritti in mano allo Stato. Nè finora si hanno prove di un cambiamento reale di questo sistema di governo, nonostante qualche segnale degli ultimi tempi su di una "ristrutturazione" e una "trasparenza" che però attendono conferme istituzionali per poter essere ritenute fatti di rilievo storico e morale.
Del resto è essenzialmente immorale lo stesso principio-base del marxismo che giudica ogni violazione delle leggi morali: la relatività della verità e, quindi della morale.
Il concetto di bene e di male è legato al bene dello Stato o del partito: è bene ciò che giova al partito, anche la soppressione di vite e l'oppressione dei popoli; è male ciò che al partito, considerato norma suprema di moralità, non giova. Di qui l'assoluta mancanza di controllo, di freno, in qualsiasi periodo del processo dialettico della società. Perciò Pio XI, nell' enciclica Divini Redemptoris, definiva il comunismo ateo come "intrinsecamente perverso".
Dal punto di vista religioso, infine, si deve osservare che il comunismo sostanziato dall'ateismo marxista, finchè non se ne libera totalmente, e non solo a parole, ma nella realtà delle sue posizioni ideologiche e delle sue scelte politiche, da una parte assomma tutti gli errori antireligiosi delle filosofie precedenti: materialismo, laicismo, idealismo, agnosticismo, razionalismo, dall' altra si presenta esso stesso come sostituto della religione. Anzi si deve dire di più: fa dell'ateismo militante una religione. Basta leggere l'opuscolo di Lenin sulla religione, dove si vede che cosa pensa il marxismo su tale materia e quale metodo insegna per la lotta antireligiosa.
L' attacco più violento il comunismo lo riserva alla religione cattolica. Qualunque siano le professioni o promesse di rispetto di alcuni uomini, forse sinceri, nei confronti della Chiesa, per il sistema vale tuttora ciò che aveva scritto Pio XI nella enciclica Divini Redemptoris: "insistendo sull'aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono tra le diverse classi della società, e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l'aspetto di una crociata per il progresso dell'umanità. Invece tutte le forze, quali che esse siano, che resistano a quelle violenze sistematiche, debbano essere annientate come nemiche del genere umano". Tra queste forze nemiche è al primo posto la Chiesa cattolica, per la chiarezza e coerenza delle sue posizioni, per la sua diffusione in tutto il mondo, per la sua libertà dai condizionamenti nazionali e razziali, per la sua organizzazione unitaria, per la sua esperienza dei secoli. Inoltre la dottrina comunista è in antitesi con quella cristiana, insegnata fedelmente dalla Chiesa, a livello sia teologico-filosofico sia etico-sociale.
Perciò ci spiega la lotta dura e crudele per l'esistenza imposta alla Chiesa dal comunismo; lotta che, si può dire, non ha avuto precedenti dalle origini fino ai giorni nostri.
Come scrive Pio XI nella enciclica Divini Redemptoris, "per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta ed accuratamente preparata dall' uomo contro "tutto ciò che è divino". Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come l'oppio del popolo" perchè i principi religiosi che parlano della vita d' oltre tomba distolgono il proletariato dal mirare al conseguimento del paradiso di questa terra.
Il "paradiso è di là da venire anche per il comunismo. La Chiesa ha ben ragione di non fidarsi delle parole dei comunisti, e di continuare a proporre agli uomini, con Pio XI, la suprema realtà, che è Dio a riaffermare i diritti imprescrittibili della persona umana, i diritti e i doveri della società, a mostrare la saggezza e la attualità della propria dottrina sociale, e a rivolgere il suo appello a quanti credono in Dio, per premunirsi contro le insidie del comunismo, comunque mascherato, e salvare la società umana.
L' enciclica di Pio XI scritta nel 1937, quando il comunismo non dilagava ancora nell' Europa, dimostra come quel pontefice vide chiaro nella essenza dell'ideologia e del sistema politico marxista e presagì i suoi futuri sviluppi, fatali per l'umanità.

A chiusura di questa esposizione, necessariamente sintetica, sul marxismo e il comunismo, una conclusione, già più volte accennata s' impone.
Il marxismo-lieninismo (e il comunismo) appare come un fenomeno totale. Questo elemento di totalità lo caratterizza in modo che, se è possibile isolare questo o quello dei suoi elementi, questa o quella delle sue analisi, tuttavia, solo situati in questa totalità essi assumono il loro significato. Di conseguenza, non è "battezzato" questa o quella parte del sistema marxista e rettificandolo in questo o quel punto, che sarà possibile cristianizzarlo. Il marxismo sarebbe cristallizzabile solo se lo fosse nella sua totalità. E questo non è possibile. D' altronde Engels, sin dal 1843 aveva avvertito che non si poteva prospettare un comunismo cristiano che fosse comunismo nel senso inteso da Carlo Marx e da lui stesso.
Tutto ciò vale per il marxismo e per il comunismo impastato di marxismo, oggi come ieri. Non è escluso che essendo gli uomini correggibili e perfettibili più dei loro sistemi, si possono avere anche nel mondo comunista cambiamenti, e persino svuotamenti dall'interno, sia pure con processi lunghi e faticosi.
Don Walter Trovato
26/02/2024
ETICA SUI RAPPORTI SOCIALI    -PRIMA PARTE-
Il discorso etico sui rapporti sociali non può prescindere dalla considerazione della realtà esistente nel mondo in cui si svolge. Mondo che, negli ultimi due secoli, è stato dominato da due sistemi ideologico-politici tuttora operanti attraverso partiti e movimenti organizzati: il liberalismo e il socialismo, ai quali si possono riportare altre tendenze e correnti di minore rilievo, salvo il discorso da fare- a suo tempo - sui tentativi di sintesi, purtroppo basati su principi sbagliati e condotti in maniera aberrante, da parte di sistemi che miravano alla combinazione del socialismo col nazionalismo, senza trascurare alcuni elementi della tradizione liberale.
Sembra opportuno fare, in via preliminare, una presentazione almeno sommaria dei sistemi accennati, esaminandoli a un duplice livello: quello ideologico (includente i valori filosofici e religiosi) e quello politico (includente i valori economici e sociali). Ad entrambi i livelli, si notano alcune convergenze di pensiero tra la dottrina sociale cristiana, che è la nostra, e i due sistemi ideologico-politici; ma ancor più si notano i contrasti, per non dire, su alcuni punti fondamentali, la contraddizione.
Qui confronteremo, con la dottrina cristiana, naturalmente con rapidi cenni e in modo riassuntivo, anzitutto il liberalismo, e poi il socialismo nella sua versione marxista.
Questo secondo confronto è di maggiore e più bruciante attualità-anche se il marxismo è oggi in piena crisi- per rapporto al primo, poichè si può dire che nelle presenti condizioni storiche il liberalismo ha perduto la sua forza e il suo mordente, specialmente nelle masse ( che in realtà non ne sono mai state toccate, anche se le popolazioni sono state coinvolte nella politica liberale), ed in oltre ha subito e sta ancora subendo un processo di decantazione e di rinnovamento (non sempre riuscito), che modifica sensibilmente la sua formula classica.

IL LIBERALISMO
Aspetto ideologico

Il liberalismo nasce da un duplice filone ideologico: l'illuminismo (esaltazione dell'autonomia della ragione e quindi della coscienza) e il positivismo (riduzione della conoscenza a ciò che è sperimentabile). Di fronte ai valori universali ed eterni e specialmente alla rivelazione (Cristianesimo) e alla religione in genere, lo spirito moderno, nutrito di illuminismo e positivismo, rivendica la propria libertà (assoluta) di non aderire, di non accettare, di mantenersi agnostico, di coltivare il dubbio e l'incertezza.
E data questa posizione di autonomia e incertezza sul piano intellettuale, è facile capire che sul piano pratico e operativo si passa pure alla massima affermazione e rivendicazione della libertà: di pensiero, di coscienza di stampa di attività economica e politica. E' il perno ideale del liberalismo, che si diffonde ampiamente nell'Ottocento e influisce fortemente sulla organizzazione e sulla attività dello Stato, che deve ridurre al massimo il proprio ambito di intervento, a vantaggio della libertà e quindi della iniziativa individuale dei cittadini, sia a livello economico-politico, sia a livello morale-religioso.
Per ciò che riguarda in particolare la religione, lo Stato liberale incarna l'indifferentismo verso le verità cosiddette "astratte", e quindi verso le rivelazioni, le religioni, i culti, che, per quanto compete allo Stato, sono da ritenersi tutti uguali. Lo stato liberale si proclama laico, cioè estraneo alla problematica religiosa e tendenzialmente ostile alle Chiese e alle istituzioni religiose che, di loro natura, necessariamente hanno una incidenza sulla vita sociale, e, specialmente se sono "rivelate", non possono prescindere da un certo dogmatismo, per il quale pretendono il monopolio della verità cercando di imporla alla società e allo Stato. Per il liberalismo la religione -come l'etica- è e deve rimanere un affare esclusivamente privato: una fatta di coscienza e, tutt'al più, di sacrestia; la Chiesa deve essere separata dallo Stato: magari rispettata ma tenuta fuori della struttura sociale e ridotta nell'ambito delle società private che non rientrano nelle istituzioni di diritto pubblico.
In sintesi, si può dire che vi è un fondo comune nel liberalismo che, nonostante le diversità di tendenze che esso ha preso nei vari Paesi e nei diversi settori della vita (economico, politico, religioso), sempre affiora in ogni sua realizzazione storica: ed è principio antropologico, che si può identificare con l'individualismo, ossia con la massima esaltazione, spinta persino all'idolatria, dell'individuo e della sua ragione, come sorgente unica di conoscenza e regola d'azione (razionalismo), della sua bontà naturale (naturalismo) e quindi della sua libertà.
Il che implica un ancor più fondamentale ottimismo sull'uomo, la sua natura, le sue facoltà, le sue possibilità di azione, auto-redenzione, progresso e conquista, che porta alla celebrazione continua delle "magnifiche sorti e progressive" dell'umanità, allargamento illimitato degli spazi della libertà riconosciuta agli uomini, alla affermazione della uguaglianza di tutti…

Aspetto politico
Bisogna subito osservare, qui, che in molti casi il liberalismo è stato poco coerente, in politica, con i principi idolatrati della libertà, dell'uguaglianza e dell'agnosticismo in materia ideologica e religiosa. In realtà gli Stati liberali sono stati i più acri nella lotta contro la religione, non solo come istituzione (Chiesa, Ordini religiosi, Associazioni pie ecc.), ma anche come idea, violando gravemente la libertà di culto, di associazione, di pensiero, di coscienza, che il liberalismo afferma così solennemente.
Anzi, sul presupposto dell'agnosticismo in materia religiosa lo Stato liberale ha non solo preteso di essere laico, ma ha creato una specie di religione del laicismo, diventando come sistema di fede (la religione dell'anti religione),da cui è stata improntata la vita politica, la cultura, la scuola, e in nome del quale si è svolta una azione soffocatrice ed eversiva delle istituzioni di carità e assistenza che specialmente la Chiesa aveva liberalmente eretto, diretto e mantenuto a favore dei più poveri.
Sul piano politico-sociale, inoltre; vanno fatte alcune altre considerazioni che permettono di vedere il rapporto di contrasto tra valori liberali e valori cristiani, anche nei riflessi sulle situazioni storiche determinate dall'ideologia e dalla politica liberale.

Genesi del liberalismo
Abbiamo già detto che nell'insieme di attori di vario ordine che costituiscono il carattere originale, profondamente innovatore e addirittura rivoluzionario, dell'età moderna, ciò che prevale è tutta caratterizzata è l'individualismo che si afferma in contrasto col senso medioevale del bene comune e dell'oggettività, come pure col senso rinascimentale dello Stato e del potere assoluto. Senza poter approfondire, qui, questo punto, né seguire tutto il suo sviluppo storico, osserviamo però che già sul piano religioso l'individualismo si afferma con Lutero e il protestantesimo (libero esame, ispirazione privata, valore determinante della coscienza personale); sul piano filosofico, col soggettivismo, il matematicismo antimetafisico, l'interiorità anti comunitaria, sul piano politico, come abbiamo detto, col liberalismo, che nasce dall'illuminismo e dal positivismo e viene tenuto a battesimo dal volontarismo rousseauiano, che sostituisce la così detta "volontà generale" al posto della ragione oggettiva; sul piano economico, con l'individualismo di Smith, che sostiene il non-intervento dello Stato in campo economico, dove domina la legge dell'interesse e dell'egoismo.
Agli inizi del secolo XIX, avvenuta ormai la piena scissione della morale nell'attività economica, cardine di questa attività è il profitto (guadagno monetario tratto dalla altezza dei prezzi nei confronti dei costi).
Espressione giuridica di tale concezione del mondo è la famosa legge Le Chapelier, votata alla Costituente francese nel 1791, che porta all'abolizione di ogni organo intermedio tra l'individuo e la società, in nome della libertà e uguaglianza di tutti: non ci deve essere nessun corpo sociale che rafforzi gli uni a danno degli altri. Il che è contro la vitalità della società, che si esprime nei corpi intermedi.
Questo è il quadro nel quale l'ideologia liberale, che, come abbiamo visto, s'impernia sulle idee di liberà e uguaglianza, si traduce in regimi politici (democrazia liberale), nei quali i problemi socioeconomici vengono affrontati in base al principio dell'individualismo, e quindi a danno sia dell'uguaglianza, sia della libertà.
Riconosciamo che non è mancato, in quei regimi, un elemento positivo: la valorizzazione dell'uomo, dell'iniziativa, della capacità personale, come pure la lotta al privilegio di nascita e di posizione sociale. Ma è stato determinante come elemento negativo l'individualismo sfrenato e scatenato, per cui il debole è rimasto indifeso di fronte al più forte, anche se in teoria veniva affermata la libertà e l'uguaglianza di tutti. Aumentarono così i dislivelli e le sperequazioni. E come reazione e antitesi al liberalismo si ebbe il socialismo.
Infatti, la mancanza di quegli organi associativi, aboliti dalla legge Le Chapelier in Francia e ben presto negli altri Paesi, che potevano difendere i lavoratori; la mancanza di legislazione "sociale", l'impostazione dei rapporti economici sulle leggi del profitto e della concorrenza, e la proibizione di contrattare a nome di tutta la professione, portavano all'esasperazione le masse, che si erano formate sotto la spinta del processo di industrializzazione, costituendo il cosiddetto proletariato.

Formazione delle masse
E' un fenomeno tipico dell'età moderna, che consiste essenzialmente nel fatto di un numero sempre maggiore di nullatenenti, la cui esistenza dipende dal lavoro concesso da altri, ossia da un lavoro esecutivo in dipendenza da altri come unico mezzo di sussistenza, ma con una continua incertezza del domani; e spesso da un lavoro inumano: faticoso, depressivo, in ambienti mal sani. Si aggiungono le difficoltà per la vita familiare; l'esclusione dalla cultura e dalla vita pubblica, e si capirà che nelle masse non poteva non delinearsi un atteggiamento psicologico.
a) di insoddisfazione e di protesta circa l'ordine economico-sociale esistente;
b) di pretesa di cambiamenti.
In queste condizioni, dunque, per reazione al tipo di regime socioeconomico liberale, si presenta la realtà della massa: uomini che valgono come quantità più che come qualità; conformità nel pensare, sentire, giudicare, vivere; inautenticità personale, sotto la pressione di tecnicismo, industrialismo, materialismo, pubblicità, propaganda, tensione dinamica del lavoro e della vita, ma soprattutto a causa delle condizioni economico-sociali dei lavoratori, dei quali sono ormai uniformi la giornata, l'orario di lavoro, il livello del salario, la condizione della vita nel vitto, negli alloggi nel divertimento, ecc. Di qui una conformazione psicologica sempre più uniforme, caratterizzata da insoddisfazione, ribellismo aspirazione comune a miglioramenti, ricorso agli stessi mezzi somiglianza di tutti sul piano psicologico e morale, e a volte persino su quello fisico somatico.
Si può dire che vi è stato un duplice processo: dalla macchina alla produzione di massa; dalla produzione di massa alla formazione delle masse umane. dalla macchina alla merce standard; dalla merce standard all'uomo-massa.
Così il terreno è preparato per una organizzazione nuova della massa: il movimento operaio, nel quale ebbe gran parte appunto il socialismo.

Confronto con i valori cristiani

E' abbastanza comprensibile la disapprovazione del liberalismo da parte della Chiesa sia per una ragione di legittima difesa sul piano politico (anche a prescindere dal problema particolare del potere temporale dei papi in Italia, che il liberalismo combatteva a morte), sia soprattutto per delle ragioni di principio, che però dal piano etico-religioso si riflettevano anche su quello socio-economico.
Soprattutto queste ultime ci interessano qui, trattandosi di un confronto tra i valori cristiani e i valori liberali.
L'esame dei documenti papali circa il liberalismo, da Pio IX a Giovanni Paolo II, ci fa constatare che i punti di contrasto con la dottrina cristiana e anzi con lo stesso spirito evangelico, sono soprattutto i seguenti:
1) l'eccesso di individualismo in contrasto con la concezione cristiana della persona, che certo è il valore supremo nel mondo, fatta ad immagine di Dio e destinata al dialogo con Lui, ma nell'ambito della società e in comunione, solidarietà e collaborazione con gli altri.
2) razionalismo di base, che riconosce nella ragione umana l'unica sorgente della verità e rigetta la rivelazione.
3) il naturalismo, in contrasto con la dottrina cristiana del peccato originale.
4) l'estremismo e assolutismo nella concezione della libertà come valore supremo e incondizionato.
5) l'utopismo della uguaglianza, illusorio e fonte di inganni e delusioni.
6) il mito del progresso indefinito e incessante, smentito dalla storia e dal realismo di una concezione dell'uomo nella sua condizione terrena, che il Cristianesimo presenta senza cadere negli eccessi nè dell'ottimismo nè del pessimismo.
7) il primato attribuito al benessere, all'economia, alla produttività, al profitto, a favore dell'iniziativa privata e dell'arricchimento individuale a scapito della solidarietà che deve accomunare gli uomini nella società e nel lavoro in vista del bene comune integrale…
Se poi si pensa che il liberalismo e il capitalismo si richiamano e quasi si fondono sul piano economico e finanziario, si vede che la riprovazione del primo è inclusa in tutta la dottrina sociale della Chiesa circa i rapporti giustizia e di carità che devono legare gli individui e le classi sociali, e circa la funzione moderatrice, compensatrice e sussidiaria dello stato nel mondo dell'attività economica.
Bisogna però aggiungere che negli ultimi decenni il liberalismo ha fatto notevoli passi verso un'apertura alla società, specialmente con Roepke e, in Italia con Einaudi, sicchè il giudizio su tale sistema, e sulla sua ideologia, dal punto di vista storico può forse essere meno negativo, anche s e rimangono intatte le ragioni del contrasto di fondo con i valori cristiani e le riserve di ordine etico-religioso ed etico-politico.
Si può concludere dicendo che nel liberalismo storico si ha un caso tipico di "verità cristiane impazzite", come diceva Chesterton, cioè squilibrate e portate all'estremismo, in tal caso si tratta di valore squisitamente cristiano della dignità della persona umana, della coscienza, della libertà.
Don Walter TROVATO
18/02/2024
ESSENZA METAFISICA E CONCRETEZZA ESISTENZIALE DEL BENE COMUNE
Bene comune è un concetto sociologico che include un contenuto metafisico da cui prende luce la struttura dello Stato contemporaneo. In fondo, il bene comune è il fine delle persone che vivono in una collettività: fine della collettività come tale e fine dei singoli in quanto associati; fine naturale, oggettivo, intrinseco ed essenziale della vita sociale. Se infatti gli uomini si uniscono in società è perchè prendono coscienza dei loro bisogni, delle esigenze della loro natura, delle loro capacità di espansione e di collaborazione, e nello stesso tempo avvertono i benefici che possono trarre dalla loro associazione nel lavoro e nella vita; e il bene comune è dunque la risultante di queste attività associate, lo scopo a cui mirano, la ragion d'essere della società, la norma suprema della condotta sociale. In concreto esso si identifica con l'insieme di condizioni necessarie allo sviluppo integrale e quindi al perfezionamento della persona umana nella società.
Così inteso il bene comune ha una sua essenziale originalità. Quantunque sia costituito e alimentato dai beni particolari, non si identifica col bene delle singole persone, né risulta dalla semplice addizione o da una condizione arbitraria dei beni particolari, ma è un "tutto" vitale e dinamico che scaturisce dall'armonica coordinazione delle attività e funzioni sociali, di cui il termine di convergenza e il principio costitutivo di unità nella molteplicità e varietà delle componenti della società.
Sotto l'aspetto metafisico esso è una partecipazione sovreminente del "bene" come proprietà trascendentale dell'"essere", quale si trova nella fonte infinita di ogni realtà, il seno d'Abramo da cui proviene tutto l'essere creato: perciò San Tommaso lo percepisce come qualcosa che è "divinus" per rapporto a tutti i beni particolari, perché quantitativamente e qualitativamente partecipa maggiormente alla perfezione di Dio. Anche tradotta in termini filosofici e "laici", questa concezione del bene comune include pur sempre il riferimento ad un assoluto di perfezione, ossia al bene metafisico, da attuare nella vita sociale in forme storiche di giustizia, ordine e pace, che siano di aiuto allo sviluppo integrale dell'uomo

Il bene di ognuno e di tutti

Il rapporto persona-società si ritrova così come elemento essenziale in questa concezione del bene comune, che include la socialità come condizione e proprietà connaturale della persona umana, capace di espansione e bisognosa di collaborazione, tendente alla convivenza e contribuente alla costituzione e all'incremento di un comune patrimonio di cultura e civiltà, che si risolve in bene di ognuno e di tutti.
E' così esclusa ogni forma di individualismo egocentrico e antisociale che faccia prevalere gli interessi particolari sul bene comune, ma anche ogni forma di collettivismo e totalitarismo societario e specialmente statolatrico che opprima la persona umana, impedendone lo sviluppo autonomo e conculcandone il fondamentale diritto alla libertà, che è la radice della sua libertà.
La misura del bene comune è la perfezione dell'uomo, che l'individuo raggiunge solo nell'agire per lo sviluppo di tutte le sue capacità in collaborazione con altri individui nell'ambito della società o comunità. La perfezione dell'uomo è dunque l'elemento saliente del bene comune come norma concreta e oggettiva delle relazioni tra le persone in seno alla società e quasi si direbbe, come "dover essere" a cui deve commisurarsi la vita sociale nella storicità delle condizioni concrete, in ordine allo sviluppo che la società è chiamata a favorire e promuovere nelle diverse situazioni socioculturali.
Il che, oggi implica anche tutto un insieme di iniziative socio-economiche prese dalla società e una disciplina societaria delle attività individuali e collettive che non mortifichi ma fomenti e diriga la mutua collaborazione, secondo un programma o piano di sviluppo che appoggi, orienti e garantisca la confluenza di tutte le forze operanti della società al bene comune.
La questione che nasce subito è quella di una giusta dosatura tra l'iniziativa personale e il condizionamento e disciplinamento che essa riceve dalla società.

Il contenuto del bene comune

Qui osserviamo che il bene comune è costituito da un insieme di valori e di beni che formano un tutto unitario superiore a ogni settore particolare: il diritto, l'economia, la cultura, il costume, la morale, la religione, la vita interiore. Ciò significa che il bene comune si estende e approfondisce secondo le dimensioni stesse dell'uomo. Il che non esclude che specialmente in certe epoche nella società prendono particolarmente rilievo i problemi economici, come base o presupposto indispensabile del progresso anche in altri campi.
Oggi poi la visuale del bene comune si dilata su un raggio di ampiezza rispondente alle istanze del ciclo storico che l'umanità attraversa e alle tendenze più connaturali allo spirito umano: quelle dell'universalità. Perciò è imprescindibile, oggi, per la vita sociale e politica svolgersi secondo queste esigenze e dimensioni, sia pure nel senso di una equilibrata politica di rapporti internazionali.

Interpretazioni del bene comune

Si può dire che il bene comune, così delineato, è di marca tipicamente cristiana e si è affermato come concetto e valore sotto l'influsso del Cristianesimo. Nella antichità non troviamo elementi sufficienti per definire adeguatamente il bene comune come, anzi, talora non apparendo nemmeno il sospetto del valore della persona umana, come tale, lo scopo della società viene identificato con il bene di una parte soltanto dei suoi membri. Anche in seguito, in varie epoche, quando vige l'assolutismo monarchico non si attua l'ideale cristiano del bene comune in quanto il bene della comunità, dello Stato, viene identificato con il bene del re, o della sua famiglia, o della sua dinnastia. Più recentemente lo statalismo, o addirittura il panteismo statale, concepisce lo Stato come incarnazione di uno spirito o volontà divina, che ha il diritto di imporsi "ex alto" e di sacrificare, se necessario, i suoi membri, sia per una loro spontanea donazione di sè, sia in forma coercitiva: il bene degli individui non ha senso fuori del bene dello Stato, ai quali l'uomo è ordinato e subordinato come la parte del tutto.
La carenza di bene comune si nota soprattutto nella teoria del liberalismo economico, sviluppatasi nella seconda metà del secolo XVIII, caratterizzata dall'asserzione del primato dell'individuo e del suo benessere come pure dalla fede ottimistica nella risultanza positiva delle azioni individuali in funzione del benessere sociale, per una sorta di meccanica immanente dell'economia. La dottrina del laissez faire" considera la libertà di iniziativa e di movimento come l'unica vis del benessere sociale (concetto legato prevalentemente alla produzione); il benessere sociale si determina dal convergere di una molteplicità di sforzi individuali per accrescere le comodità e i servizi posti a disposizione della collettività, ma senza che gli individui intenzionalmente provvedano al bene comune e lo assumano come norma d'azione; esso comunque si realizza come per l'intervento di una invisibile mano (Adam Smit).
Benthan definisce come bene comune la somma del benessere dei singoli individui, e alla società assegna come fine unicamente la tutela dei diritti e dell'esercizio delle libertà individuali.
Per Marx non si può parlare di problematica del bene comune se non nel senso dell'identificazione di ogni bene con esso. L'uomo diventa capace di bene quando assume la mentalità stessa della comunità, che è il concreto insieme degli uomini storicamente moltiplicati e collaboranti. Poichè l'uomo viene inteso nella più elementare e semplice accezione di un essere che è in grado di soddisfare i propri bisogni, ne consegue che è la società che pone tutti i singoli individui in grado di essere uomini, eliminando ogni prospettiva di bene individuale come fattore discriminante e sostituendola con la sola prospettiva universale del bene comune come bene dell'uomo-comunità, dell'uomo che lo può godere in quanto è comunità.

Gli autori cristiani

La dottrina cristiana del bene comune si può dire esposta nei suoi elementi essenziali da San Tommaso, secondo il quale il bene comune è il fine proprio della comunità, ed è inteso come felicità comune, ossia come perfezione umana realizzata con una certa completezza mediante la collaborazione sociale: un " bonum comune perfectum", di cui fanno parte tutti i beni necessari alla vita.
Nella comunità la legge ha lo scopo di condurre i singoli uomini, come a fine, al bene comune, ordinando i loro atti appunto alla felicità comune, che è la pienezza del bene anche per ogni singolo uomo, perchè l'individuo trova il suo compimento nella comunità, come la parte del tutto. Il bene comune è lo stesso bene umano, a cui aspira la comunità umana secondo le inclinazioni e i dettami della legge naturale, ma esso diviene il bene della società civile che si concretizza in determinate condizioni di spazio, di tempo, di cultura ecc., e nella quale la legge umana, come partecipazione della legge naturale, ordina gli atti dei cittadini alla giustizia e alla pace, che sono le componenti, appunto, del bene comune politico. Ma come la legge umana trova il suo fondamento nella legge naturale, ed è ad essa subordinata, così il bene comune della società civile è ordinato a quel bene comune perfetto che è il fine supremo della comunità umana.
Secondo Maritain il fine della società, ossia il bene del corpo sociale, non è la semplice collezione dei beni privati, nè il bene proprio di un tutto che frutti soltanto per sé e sacrifichi a sé le proprie parti; ma è la buona vita umana nella moltitudine, è la comunione di molti nel vivere bene. Perchè questo ideale e fine si attui nella concreta realtà storica, è necessario garantire il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, che il bene comune implica ed esige, e quindi promuovere il loro massimo accesso alla totalità dei valori in cui si esprime ed espande il loro essere. Questa totalità non si riduce solo ad un insieme di vantaggi e di benefici ma implica un'integrazione sociologica di valori: la coscienza civica, le virtù politiche, il senso della legge e della libertà, l'attività di tutti, la prosperità materiale e le ricchezze spirituali, la rettitudine morale, la giustizia, l'eroismo nella vita individuale e nei rapporti tra i membri della società.
In base a questa interpretazione del bene comune come bene della collettività umana concretizzata nella società civile, e, in essa, delle persone che ne sono membri, è abbastanza ovvio affermare che lo Stato è ordinato e subordinato al bene comune e questo principio deve ispirare tutta la sua attività.
Don Walter Trovato
11/02/2024
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