UNA DONNA GENERALE DI BRIGATA
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Una Donna, un Generale di Brigata del Servizio Ausiliario Femminile, che va ricordata.

07/09/1985
In ricordo del Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli Servizio Ausiliario Femminile.
Nata a Greve in Chianti nel 1902 a 10 anni si trasferisce a Roma con la madre, rimasta vedova.
Piera Fondelli ricorda: «Dire quali furono i sentimenti, le esperienze, gli impulsi che mi portarono ad aderire al fascismo ,ancor prima che fosse fondato ufficialmente il partito, non è difficile.
Ho da sempre sul mio tavolino una piccola foto di mio padre, Pietro Fondelli. Papà vi è ritratto in divisa militare. Doveva essere la foto ufficiale fatta all’inizio del servizio. C’è anche la data: 12 novembre 1896. E c’è, sul retro, questa frase scritta da lui: “Il militare che si allontana dal combattimento senza essere ferito, o che si arrende al nemico prima di aver esaurito gli estremi mezzi di difesa, commette atto codardo, che lo macchia d’infamia”. Segue un brevissimo post-scriptum: “È facile diventare eroi facendo solamente il proprio dovere”. È tutto quel che mi resta di mio padre, un uomo che non conobbi perché morì, giovanissimo, nel maggio del 1902, quando io dovevo ancora venire al mondo. Nacqui infatti due mesi dopo la sua morte».
Il 23 marzo del 1921, Piera, insieme ad Ines Donati ,che frequentava con lei l’Istituto di Belle Arti, si iscrive al Fascio di Combattimento di Roma.
«Ines Donati durante gli scioperi degli spazzini, spazzava le strade del centro, circondata dai ragazzi del Fascio, guai a chi osava metterle le mani addosso. La Donati era come divorata da un’ansia di lotta. Indossava la camicia azzurra, perché veniva dalle fila dei nazionalisti e morì, stroncata dalla sua passione, non meno che dalla sua malattia ai polmoni, appena ventiquattrenne.
Frattanto, il gruppetto delle ragazze fasciste si era ingrossato. Ormai eravamo una decina e andavano in sede cantando “Allarmi, siam fasciti”, nel tempo in cui le ragazze della nostra età cantavano “Creola, dalla bruna aureola”».
Al comando del gruppetto denominato “Squadra d’onore di scorta al gagliardetto”, composto da venti donne tra centomila squadristi, Piera, il 28 ottobre del 1922 a 20 anni, partecipa alla Marcia su Roma:
«la camicia nera ed il fez me li ero confezionati in casa, a Roma, con l’aiuto della mamma».
Le sue doti organizzative la portano a diventare Ispettrice della Federazione dell’Urbe. Lunghi anni di lavoro per la costruzione dei nuovi istituti del regime: le colonie estive, l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, la Protezione della Giovane, gli orfanotrofi, il potenziamento della Croce Rossa .
Molto tempo dopo conosce l’uomo che sarebbe diventato suo marito: Mario Gatteschi, di dieci anni più grande, appartenente ad una nobile famiglia di Poppi, in provincia di Arezzo, ingegnere responsabile di un gruppo rionale del Partito a Roma.
Si sposano nel 1936 e Piera segue Mario nell’Africa Orientale Italiana dove, a seguito dell’incarico ricevuto dalla Ditta Vaselli, doveva realizzare una delle principali imprese edili di Roma e cioè la costruzione, insieme a 12 mila operai, della strada del deserto della Dancalia, lunga 330 chilometri e destinata a collegare Assab, sul Mar Rosso, con Addis Abeba.
Tornano a Roma nel 1939 e, siccome la fiduciaria dei Fasci Femminili era stata destituita, S.E. B.M. nomina Piera Fondelli. Intanto suo marito torna ad Addis Abeba ma, dopo pochi mesi, all’entrata in guerra del 10 giugno 1940 si arruola volontario e partecipa alla battaglia del Somaliland. Fatto prigioniero dagli inglesi e rinchiuso nel Campo “125”, Mario Gatteschi rivedrà sua moglie Piera solo nel 1946.
Trovatasi, dunque, sola nella Roma in tempo di guerra Piera si dedica anima e corpo all’organizzazione della quale era stata messa a capo che era arrivata contare 150 mila iscritte.
«Le iscritte ai Fasci Femminili dell’Urbe si dividevano in tre gruppi: circa 50 mila iscritte per ogni gruppo. Erano le “donne fascite” che lavoravano negli uffici o nelle libere professioni, le “operaie lavoratrici a domicilio” che erano in pratica casalinghe e le “massaie rurali” che erano donne che, nelle campagne, lavoravano come l’uomo e quindi avevano diritto alle stesse provvidenze sociali stabilite per i loro mariti.
Sulla condizione della donna nel Ventennio, se può servire la mia testimonianza, si sono diffuse alcune false convinzioni.
Le contadine, le “massaie rurali”, si sentivano vive, ammirate, importanti. Organizzavamo per loro, concorsi, manifestazioni, gite.
Quanto alle casalinghe, le “operaie lavoratrici a domicilio”, era allo studio un progetto perché potessero usufruire di uno stipendio e di una pensione personali.
Creammo anche la “Associazione donne professioniste e artiste”, che diede subito un grande impulso alla spinta della emancipazione e la parità».
Nel 1940 Piera Gatteschi viene nominata Ispettrice Nazionale del Partito, la massima carica femminile. La sede davanti a Palazzo Braschi è diventa ormai inadatta, per cui Piera chiede ed ottiene da Gian Giacomo Borghese, governatore di Roma, l’utilizzo del Palazzetto Borghese in Via Tomacelli.
Al Palazzo delle Esposizioni in via XX Settembre Piera Gatteschi crea il “Laboratorio 9 maggio”, dalla data della conquista dell’Impero, dove le iscritte, lavorando gratis, confezionano migliaia di vestitini per neonati e di indumenti e pacchi-dono per i soldati.
La mattina successiva al 25 luglio del 1943 viene ordinato a Piera Gatteschi Fondelli di dare le consegne al maresciallo Badoglio.
Lei rifiuta!
I “quaranta giorni” di Badoglio trascorrono lenti e angosciosi e, mentre S.E. B.M. viene spostato da Ponza a La Maddalena e poi a Campo Imperatore, si tesseva la trama della più ignobile delle rese.
Dopo l’8 settembre ed il salvataggio del duce del 12, il 18 finalmente si ascolta di nuovo la Sua voce da Monaco di Baviera: “Camerati, le sedi del partito sono state riaperte! Riprendete il vostro lavoro”.
A quel punto Piera Gatteschi Fondelli risponde al richiamo e parte da Arezzo, dove era andata a rifugiarsi, alla volta di Roma dove incontra Alessandro Pavolini al quale comunica la sua intenzione di riprendere la guida dei “Fasci Femminili dell’Urbe” che risponde: «Verrai al Nord, nel cuore della Repubblica Sociale Italiana e là vedremo che cosa potrai fare».
La sede centrale del neo-costituito PFR (Partito Fascista Repubblicano) si trova a Brescia e Piera, con la segretaria dei Fasci Femminili, assiste ad un fenomeno inaspettato: centinaia di ragazze iscrivono o si presentano direttamente alle federazioni provinciali per arruolarsi e prendere il fucile di quei soldati che si erano “squagliati”.
Così, verso la fine di dicembre del 1943, Piera scrive a Sua Eccellenza per manifestarGli la sua volontà di continuare a servire la Patria ed informarLo che centinaia di ragazze, sentendo la vergogna della fuga dei soldati, chiedevano di arruolarsi e viene convocata a Gargnano. «Gatteschi» dice il duce «il popolo non ha tradito» e le chiede la sua disponibilità ad accettare un incarico ufficiale nella RSI «che farà di voi un generale dell’esercito che stiamo cercando di ricostruire».
Si decide, quindi, di militarizzare le volontarie e vengono individuati i possibili settori d’impiego: ospedali, retrovie, posti di ristoro, campi di aviazione, contraerea, Comandi di piazza dell’esercito e regionali della Guardia Nazionale Repubblicana, reparti al fronte nei servizi trasmissioni, sussistenza e pronto soccorso. Le volontarie sarebbero state alle dirette dipendenze del PFR ma aggregate alle Forze Armate e alla GNR anche se il punto di riferimento restava M. ed il fine era riscattare la Patria tradita.
Il duce aveva respinto l’ipotesi iniziale che prevedeva che il comando fosse affidato ad un generale dell’esercito: «il comandante dovrà essere una donna e sarà la Gatteschi» dice a Pavolini.
Il 18 aprile del 1944 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il DLD (Decreto Legislativo del Duce) n° 447 con il titolo “Istituzione del Servizio Ausiliario Femminile” in sigla ufficiale: SAF.
L’età delle volontarie era tra i 18 ed i 45 anni che avrebbero preso da un minimo di 1.300 ad un massimo di 2.500 lire mensili, importo che variava a seconda del grado e delle funzioni e che, tra l’altro, prevedeva indennità integrative per chi avesse figli a carico.
Il regolamento prevedeva, inoltre, la facoltà (sempre su base volontaria) delle ragazze di età inferiore ai 18 anni di arruolarsi ed il loro addestramento sarebbe stato curato dall’Opera Balilla che le avrebbe poi assegnate alla GNR.
Il 19 aprile del 1944 il Ministro Alessandro Pavolini emana il decreto con cui si istituisce il I Corso Nazionale “Italia” per l’addestramento delle future comandanti provinciali e del corpo ufficiali. A questo corso avevano accesso solo le volontarie laureate o diplomate.
Gli Uffici del Comando generale hanno sede presso l’Hotel des Bains al Lido di Venezia.
Il 2 maggio inizia il corso con 220 allieve, per lo più studentesse universitarie motivate da un insopprimibile amor di patria.
Aspetto importantissimo, non a tutti noto, è che le volontarie dovevano superare un severo esame psicotecnico eseguito da una “équipe” specializzata di medici e psicologi e questo sia per la valutazione degli indirizzi attitudinali e la scelta della specializzazione successiva ma anche per accertarsi che la scelta di arruolamento fosse assolutamente spontanea e sentita.
L’obiettivo era quello di avere Ausiliarie mature, decise e consapevoli della loro scelta anche perché la vita, al corso, era davvero impegnativa: sveglia alle 6:00, alzabandiera alle 7:00, colazione alle 7:30, cambio della guardia alle 8:00, ginnastica alle 8:30, addestramento militare alle 9:30.
Il resto della mattina e del pomeriggio erano dedicati alle lezioni: leggi di guerra, educazione fisica e le materie relative alle varie specialità scelte quali infermiere, marconiste, stenodattilografe, radiotelegrafiste, autiste, aerofoniste, interpreti, telefoniste, contabili, cuciniere. C’era anche l’addestramento all’uso delle armi in quanto l’Ausiliaria, benché non armata, doveva essere sempre in grado di difendersi.
Il fango gettato nel dopoguerra sulle Ausiliarie da parte di chi ha odiato in loro l’espressione del coraggio è stato inconcepibile.
La forza di volontà, l’entusiasmo ed il pizzico di follia che le spinsero a sfidare il destino scegliendo la strada più ingrata, cioè quella di dichiarare apertamente, in divisa, la propria fede in un tempo in cui sembrava più vantaggioso nascondersi, ha costituito per queste splendide ragazze un marchio che, ancora oggi, a distanza di 77 anni pagano.
«Era un mondo femminile fiero e straordinario» ricorda Piera «esse erano intransigenti, come la giovinezza; incapaci di capire i compromessi di cui la vita è intessuta. Ognuna portava un bagaglio di idee e di illusioni, ognuna credeva nei miracoli e disprezzava il buon senso come indice di debolezza, la razionalità come fonte di ignavia».
I corsi furono in tutto 6, della durata di circa due mesi ciascuno al termine del quale le Ausiliarie venivano assegnate ai Comandi militari regionali e provinciali e, da quel momento, non dipendevano più dal Generale Piera Gatteschi ma dai Comandi di appartenenza.
In totale, le Ausiliarie del SAF, al 18 aprile del 1945 data del giuramento dell’ultimo Corso, erano 4.413 (credo però fossero molte di più). Nel conto sono inserite anche le Ausiliarie della “Decima Mas” ma in realtà non facevano parte del SAF.
Le cose andarono così, spiega Piera: «un gruppo di Ausiliarie del corso “Roma” fu destinato alla Decima e costituì la base del servizio ausiliario autonomo della formazione militare del Comandante Borghese. Un nucleo di esse seguì al fronte il Battaglione “Lupo”.
Nel combattimento quelle ragazze furono all’altezza dei marò, meritandosi decorazioni ed encomi per lo sprezzo del pericolo nel portare aiuto ai feriti e nel trasportare munizioni. La “Decima Mas” indisse poi arruolamenti autonomi di volontarie, creando un centro di addestramento comandato da Fede Arnaud. A dire il vero tentai di inquadrare le Ausiliarie della “Decima” nel SAF, ma senza riuscirvi».
Il 18 dicembre del 1944, giorno del giuramento delle Ausiliarie del Corso “Giovinezza” al Castello Sforzesco di Milano alla presenza del Duce che disse loro: «Ricordate, Ausiliarie! Il vostro giuramento non lo avete prestato a me, ma lo avete prestato all’Italia!», esce il primo numero di “Donne in grigioverde”, il giornale delle Ausiliarie.
Piera Gatteschi Fondelli ne affida la direzione alla vicecomandante Cesaria Pancheri, la redazione ad una brava giornalista-ausiliaria Lucrezia Pollio che era anche addetta alla stampa e propaganda del SAF.
Redatto a Como e stampato a Milano, nella tipografia SAME di via Settala, “Donne in grigioverde”, purtroppo, uscì solo per 5 mesi ma fu lo specchio fedele dei sentimenti che animarono le uniche donne-soldato della storia d’Italia.
Dopo il 25 aprile Piera Gatteschi Fondelli cercò di salvare le Sue Ragazze dalla furia partigiana e visse in clandestinità per oltre un anno.
Successivamente si trasferirà in Abruzzo con il marito che, nel frattempo tornato dalla prigionia un anno prima, morirà nel 1947.
A Piera restò solo la nipote Teresa Tirinnanzi, che aveva perso entrambi i genitori e che considerò come una figlia.
Dirigente Nazionale del Movimento Sociale Italiano fin dalla sua fondazione si candiderà nelle sue liste come unica donna e si spegnerà il 7 settembre del 1985 ad 83 anni.
Roberto Biffis
Roma 08/09/2025