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L'UGANDA, SPECCHIO D'AFRICA - ETTORE LEMBO NEWS

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       Uganda, specchio d’Africa e riflesso per l’Italia

C’è un’Africa che non urla, ma semina. Un’Africa che non fa clamore, ma si muove con passo saldo verso un futuro più giusto. È l’Uganda, dove la lotta contro la violenza di genere non passa soltanto per la denuncia, ma per la formazione, l’educazione, la cultura del rispetto. Un progetto virtuoso – promosso da Amref Health Africa in Uganda e da Uwonet, con il sostegno dell’Unione Europea – ha scelto di agire alla radice, puntando su chi troppo spesso resta escluso dal discorso sulla parità: gli uomini.

In due distretti dell’Uganda orientale, Namutumba e Bugiri, circa duecento uomini sono stati formati come “Model Men”. Non slogan, non bandiere, ma presenze silenziose e concrete, esempi vivi per le comunità in cui vivono. A loro è stato insegnato a riconoscere e decostruire comportamenti violenti, a essere mentori, padri migliori, cittadini consapevoli. E da lì si è irradiata una trasformazione che ha toccato migliaia di giovani, offrendo loro percorsi formativi, sostegno sanitario, opportunità economiche. Il dato che più colpisce – un calo del 30% nelle gravidanze adolescenziali – non è solo una statistica: è il segno tangibile di un mondo che cambia, e che lo fa a partire dai cuori, non dalle imposizioni.

Storie come quella di Esther, diventata imprenditrice e guida per altre ragazze, o di Suleiman, che dopo il programma ha deciso di rimanere a scuola e oggi è un esempio positivo tra i coetanei, non sono eccezioni. Sono il volto quotidiano di una rivoluzione culturale che, con delicatezza e coraggio, mette al centro l’educazione affettiva e sociale.

Dietro questo successo vi è anche una strategia intelligente, fatta di sinergie tra istituzioni locali, scuole, leader religiosi, e associazioni. La coordinatrice del progetto, Dolly Ajok, ha saputo intrecciare reti che hanno permesso non solo di cambiare mentalità, ma anche di incidere sulle politiche pubbliche: leggi locali a favore dell’istruzione femminile, spazi protetti per le vittime di violenza, programmi nelle chiese e nelle moschee che educano al rispetto.

Di fronte a tutto questo, non si può che inchinarsi con ammirazione. E, da italiani, porsi una domanda sincera: cosa ci impedisce di fare altrettanto?

In Italia, il contrasto alla violenza sulle donne è ancora spesso reazione e mai prevenzione, emergenza e mai educazione. Le campagne parlano – giustamente – alle vittime, ma troppo raramente ai potenziali autori. I modelli positivi maschili scarseggiano nel discorso pubblico, come se il problema appartenesse a un altrove oscuro e non al nostro tessuto quotidiano. L’insegnamento ugandese ci mostra, invece, che quando si coinvolgono gli uomini in modo attivo, quando si costruisce una comunità educante che parte dal basso, i risultati arrivano. E restano.

L’Uganda oggi ci parla con una voce ferma e gentile. Non è una voce che giudica, ma che suggerisce. Che invita a guardare oltre i confini dell’Europa per scoprire che l’avanguardia, talvolta, sboccia dove meno ce lo aspettiamo. Nelle scuole polverose di un villaggio africano, nel coraggio di una ragazza madre che rinasce, nella decisione di un giovane uomo che sceglie la non violenza come stile di vita.

A noi, italiani, non resta che ascoltare. E, forse, cominciare a cambiare. Non perché qualcuno ce lo imponga, ma perché il rispetto non conosce latitudini. E la dignità è un linguaggio universale, che l’Uganda oggi ci insegna a parlare con grazia.

Luisa Paratore
23/07/2025
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