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CAPITALE DELLA CULTURA 2028 - ETTORE LEMBO NEWS

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Capitale della Cultura 2028:
venticinque città in gara per un titolo
che non può essere solo facciata


Venticinque città italiane si contendono il titolo di Capitale della Cultura 2028. In palio non c’è soltanto un milione di euro e un anno di riflettori, ma la possibilità di dimostrare che la cultura non è ornamento passeggero, bensì fondamento civile: forza che plasma le comunità, restituisce identità ai territori, eleva le coscienze e intreccia il passato con il presente per aprire la via al futuro

Il Ministero della Cultura ha avviato, con il passo cerimonioso delle grandi occasioni, la contesa per la Capitale Italiana della Cultura 2028. Venticinque città e territori hanno depositato le loro candidature, trasformando borghi sonnolenti, porti rumorosi e periferie dall’identità ancora in cerca di autore in pretendenti al trono della cultura nazionale.

In ballo non c’è soltanto un titolo da esibire sulle brochure turistiche, ma un premio concreto di un milione di euro da investire in progetti culturali. Una cifra che, tra mostre temporanee, rassegne musicali, luci scenografiche e catering istituzionali, evapora con la leggerezza di un bicchiere di prosecco in piazza. A questo si aggiunge la visibilità mediatica: servizi televisivi, campagne istituzionali, inserti turistici. Senza dimenticare la chance, per sindaci e assessori, di esercitarsi nell’arte più amata della politica italiana, quella del taglio del nastro accompagnato da citazioni in latino. La vera sfida, però, non si misura in denaro, ma in identità e futuro. È la possibilità di riscrivere il racconto di un territorio, di trasformare necropoli polverose in attrazioni vive, quartieri anonimi in laboratori di inclusione e borghi dimenticati in mete lente e consapevoli, degne di una copertina elegante.

Le venticinque città in corsa coprono ogni latitudine della penisola: il Lazio con Anagni, Pomezia, Tarquinia, Rocca di Papa e l’Unione dei Comuni del Lazio Antico; le Marche con Ancona; la Campania con Bacoli, Benevento, Mirabella Eclano, Sala Consilina, Sessa Aurunca e l’Unione dei Comuni Città Caudina; la Sicilia con Catania; la Toscana con Colle di Val d’Elsa, Fiesole e Massa; l’Emilia-Romagna con Forlì; la Puglia con Galatina, Gravina e Vieste; la Basilicata con Melfi; il Piemonte con Moncalieri; il Veneto con Pieve di Soligo e Valeggio sul Mincio; la Lombardia con Rozzano e infine la Liguria con Sarzana. È una lista che pare più un album Panini che una rassegna culturale, con città che rivendicano radici etrusche, papali, barocche, o semplicemente la capacità di resistere all’anonimato.

Alcune peculiarità emergono con forza. Anagni si presenta con il blasone di “Città dei Papi”, avendo dato i natali a quattro pontefici e avendo fatto da sfondo al celebre “schiaffo di Anagni”. Fiesole gioca la carta del teatro romano e della vista privilegiata su Firenze, con il fascino etrusco che si mescola alle ville medicee. Tarquinia rilancia l’identità etrusca attraverso le sue necropoli dipinte e il museo archeologico che custodisce l’arte funeraria più nota della penisola. Catania punta sulla sua duplice anima barocca e vulcanica, sospesa tra l’Etna e i palazzi che narrano la resilienza di una città rinata dalle eruzioni. Ancona, porto naturale, offre il suo intreccio tra mare e logistica. Melfi propone la sua storia normanna, Benevento evoca streghe e leggende longobarde, Rozzano si candida come manifesto di rigenerazione urbana e Sarzana mette in campo le sue fortezze liguri. Vieste fa valere le sue scogliere e il mare, Gravina le gravine carsiche, Galatina il tarantismo e le tradizioni popolari. Pieve di Soligo e Valeggio sul Mincio incarnano l’idea di Veneto fatto di ville, colline e sapori. Tutte le altre, da Bacoli a Sala Consilina, da Colle di Val d’Elsa a Massa, promettono meraviglie culturali da riscoprire, in quell’eterno gioco di provincia che sogna ribalta nazionale.

Il calendario della competizione è altrettanto rituale. Entro il 25 settembre 2025 le città dovranno presentare i loro dossier, raffinati compendi di cultura, economia e visione strategica. Una giuria di sette esperti selezionerà entro dicembre una decina di finaliste. Nel marzo 2026 le audizioni pubbliche offriranno l’ultima passerella di oratoria municipale e il 27 marzo 2026 arriverà il verdetto. Una sola città salirà sul trono, le altre resteranno con i dossier a prender polvere negli archivi, pronti a essere riciclati al prossimo bando europeo.

In fondo, in ballo c’è un milione, certo, ma soprattutto un anno di gloria, turisti da accogliere e passerelle da calcarsi. Alcune città hanno storie millenarie da raccontare, altre contano sull’entusiasmo del presente. Tutte condividono lo stesso sogno: trasformarsi, almeno per dodici mesi, nella capitale delle attenzioni. Che sia il fascino etrusco di Tarquinia, l’eredità papale di Anagni, la teatralità di Fiesole o la vulcanicità di Catania, la vera sfida è convincere l’Italia che la cultura, al netto dei proclami, può ancora fare la differenza. La cultura è ossigeno civile, è il filo che unisce identità, memoria e innovazione. La cultura eleva, rende liberi, apre le menti e nobilita i territori e le comunità, trasformando il passato in coscienza e il presente in futuro.

Luisa Paratore
ROMA 17/08/2025

Fonti:
[Ministero della Cultura – Capitali della Cultura](https://capitalidellacultura.cultura.gov.it)


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