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QUANDO LA CURA SI TRASFORMA IN ABUSO - ETTORE LEMBO NEWS

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Quando la cura si trasforma in abuso:
il silenzio colpevole delle RSA

Dodici arresti, tre residenze sanitarie assistenziali sequestrate, venti vittime accertate tra anziani e disabili psichici. È accaduto a Pachino, in provincia di Siracusa, e il solo enunciato dei fatti dovrebbe bastare a scuotere coscienze, istituzioni, operatori e cittadini. E invece, troppo spesso, non basta. Per mesi, in quelle strutture affidate alla stessa cooperativa, gli ospiti sono stati colpiti, umiliati, contenuti con la forza, insultati, minacciati, sedati da mani prive di titolo, professionalità e umanità. Non è stata un’esplosione improvvisa di brutalità: è stata una costante quotidiana, talmente normalizzata che alcuni operatori ridevano durante le violenze. A scoperchiare questo orrore non è stata la vigilanza ordinaria dello Stato, bensì una lunga e complessa indagine dei Carabinieri di Noto e del NAS di Ragusa, con intercettazioni ambientali, microcamere, testimonianze raccolte con fatica. La giustizia ha agito, ma ancora una volta troppo tardi, dopo che il dolore ha già segnato corpi e coscienze. Le tre strutture sono state sequestrate e gli ospiti trasferiti d’urgenza, ma chi restituirà loro la dignità calpestata?

Questa non è un’eccezione. È l’ennesima tappa di una deriva sistemica. Solo negli ultimi due anni si sono moltiplicati i casi analoghi: a Udine, a Palermo, a Tivoli, a Rieti. I comunicati si  assomigliano tutti: operatori sottopagati, gestione opaca, familiari che lamentano “comportamenti strani”, dirigenti che dichiarano “non sapevamo”. Ma i corpi parlano, gli occhi chiedono aiuto, e chi è pagato per assistere ha il dovere di vedere e denunciare. In troppe RSA italiane, invece, regna un silenzio malato. Si chiudono porte, si spengono telecamere, si archivia ogni traccia di dissenso come “esagerazione”. In nome dell’equilibrio di bilancio e della convenienza degli appalti, si finisce per affidare la vita dei più fragili a strutture gestite come aziende, dove la logica del profitto sovrasta ogni vincolo morale. Non si tratta di singoli “mostri”, ma di un sistema che lascia soli operatori e ospiti, che esternalizza la cura come fosse un servizio qualunque, come si fa con la mensa scolastica o il taglio dell’erba. Ma qui non si parla di servizi: si parla di persone, di corpi fragili, di umanità ridotta a routine, di vecchiaia trasformata in carcere.

Ed è qui che la politica deve assumersi la propria responsabilità. Le leggi esistono, ma sono inapplicate. I controlli ci sono, ma sono scarsi, preannunciati, burocratici. I criteri per accreditare una struttura dovrebbero includere formazione continua del personale, valutazioni periodiche indipendenti, ascolto attivo delle famiglie, sportelli di segnalazione esterni, trasparenza nella gestione e obbligo di rendicontazione. Invece, troppo spesso, ciò che conta è che la cooperativa sia “economica” e che la struttura abbia letti disponibili. Nessuno si chiede se quei letti sono letti o gabbie. Nessuno verifica cosa accade nelle stanze quando si spengono le luci. Le famiglie si fidano perché non hanno alternative, lo Stato delega, i Comuni chiudono un occhio. Così la violenza trova spazio, si insinua nei turni notturni, si annida nei corridoi deserti, si ripete tra le pareti dove l’odore di urina copre ogni grido.

Prevenire non è impossibile. Ma occorre cambiare rotta. Chi lavora con i fragili va formato, tutelato, ma anche selezionato con cura. Chi dirige deve rispondere penalmente se ignora le segnalazioni. Chi controlla deve entrare nelle strutture senza preavviso, parlare con gli ospiti, guardare negli occhi chi ha paura. Servono tutor civici, osservatori permanenti, presenze esterne che rendano trasparente ciò che oggi è nascosto. Serve che le famiglie non siano solo visitatori, ma interlocutori attivi. Serve una cultura della responsabilità e della cura, che non si esaurisca nel compito medico ma abbracci la dignità umana nella sua interezza. Servono protocolli chiari, limiti rigidi all’uso della contenzione, rispetto assoluto per l’autonomia residua di ogni ospite. E serve, soprattutto, che lo Stato torni a farsi garante del diritto alla cura. Non come favore, non come concessione, ma come dovere civile.

Se ogni scandalo viene dimenticato in fretta, se ogni inchiesta resta un fatto isolato, se ogni abuso si riduce a un numero tra le righe di una cronaca, allora l’Italia sarà colpevole due volte: la prima per aver lasciato accadere, la seconda per aver voltato lo sguardo. Non possiamo più affidarci all’indignazione a intermittenza, né continuare a credere che basti un arresto per chiudere una ferita. Serve una rivoluzione culturale che ricostruisca il senso profondo del prendersi cura, che restituisca valore alla fragilità e che spezzi l’indifferenza che avvolge chi non ha voce. Una rivoluzione fatta di leggi applicate, di controlli veri, di responsabilità chiare, di presenze umane capaci di farsi prossimità. Perché la vecchiaia non sia più un destino da temere, e la disabilità non diventi una condanna al silenzio. Perché nessuno, mai più, debba sopportare violenza proprio nel luogo dove dovrebbe sentirsi protetto. E perché ogni cittadino sappia che il grado di civiltà di un Paese si misura, prima di tutto, da come tratta i suoi più deboli.

Luisa Paratore
05/08/2025

Fonti:
ANSA – “Anziani e disabili picchiati e umiliati in RSA, 12 arresti” (4 agosto 2025)
RAI News – “Orrore a Pachino, 12 arresti per maltrattamenti in RSA” (4 agosto 2025)
Nurse24 – “RSA del Friuli, maltrattamenti su pazienti: 13 indagati”
Codacons – “RSA, troppe le denunce ignorate: servono ispezioni reali”
Ministero della Salute – Linee guida per l’assistenza agli anziani in strutture residenziali (2023)
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