Roma, 859mila euro per due stazioni Metro:
tra nomi nuovi e costosi ed inevitabili adeguamenti
Tra modifiche software, nuova segnaletica e aggiornamenti tecnici, il Comune spende quasi un milione per due fermate della Metro C. E mentre i cartelli cambiano, le buche restano al loro posto.

A Roma, cambiare due nomi costa quasi quanto costruire una piccola strada. Solo che la strada non la vedremo mai, i nomi invece li vedremo ovunque, ben stampati e illuminati, come monumenti all’arte di spendere senza fretta e senza rimorsi.
Roma, città eterna e laboratorio perpetuo di promesse e cantieri, non smette di stupire nella sua capacità di maneggiare il denaro pubblico con creatività. L’ultimo capolavoro: 859.271,83 euro spesi per un’operazione che, almeno sulla carta, doveva limitarsi al cambio di nome di due stazioni della Metro C. Sulla carta, appunto. Perché nella realtà, la cifra riguarda anche una lunga lista di interventi tecnici e burocratici che vanno ben oltre la sostituzione di targhe e cartelli.
Il ribattezzare Amba Aradam/Ipponio in Porta Metronia e Fori Imperiali/Colosseo in un più conciso Colosseo ha implicato non solo la revisione della segnaletica visibile al pubblico, ma anche la modifica di software interni alla gestione dei treni, aggiornamenti ai sistemi di annuncio vocale, rifacimento di mappe e planimetrie, ricalibratura dei pannelli elettronici, adeguamento dei sistemi di controllo e perfino il ritiro e la sostituzione di materiale informativo già stampato. A leggere l’elenco, si direbbe quasi che Roma abbia dovuto inviare una missione sulla Stazione Spaziale Internazionale per cambiare i nomi sul tabellone: il livello di complessità descritto fa sembrare un cartello una navicella da collaudare.
Se non fosse tragico, sarebbe quasi divertente pensare che con la stessa cifra si sarebbero potuti asfaltare oltre 20.000 metri quadrati di strada, equivalenti a più di tre chilometri di carreggiata a due corsie, o tappare almeno 8.500 buche di dimensioni standard. Per intenderci: un’intera rete viaria di quartiere sarebbe potuta tornare percorribile senza obbligare motociclisti e ciclisti a manovre da slalom olimpico. Ma evidentemente, tra chiudere una buca e cancellare un nome, la toponomastica ha vinto a mani basse.
E, come spesso accade a Roma, questa operazione di maquillage non è rimasta senza conseguenze temporali. L’apertura della tratta T3, già rinviata in passato, ha subito un ulteriore slittamento. La fermata Colosseo, parte della stessa tratta, è ora prevista per l’autunno 2025, salvo ulteriori “imprevisti” che nella gestione delle grandi opere romane non sono imprevisti, ma tappe obbligate. Nel frattempo, i cittadini continuano a sobbalzare tra una buca e l’altra, mentre sui cantieri della metro si alternano annunci e rinvii.
Il sindaco Roberto Gualtieri, fedele alla sua immagine di pianificatore instancabile, assicura che la Metro C viaggerà spedita verso il futuro. Cantieri aperti, progetti ambiziosi, partenze in grande stile: la retorica è quella delle grandi capitali, il risultato però spesso ricorda più l’Italia dei lavori eterni. E mentre si annunciano nuove tratte verso Farnesina e piazza Venezia, il cittadino romano si ritrova con un presente fatto di disservizi, attese e, in questo caso, nomi freschi di stampa pagati a peso d’oro.
C’è poi un retrogusto simbolico che non sfugge. Il nome Amba Aradam, legato a una controversa pagina di storia coloniale, è stato archiviato in favore di Porta Metronia, recuperando una toponomastica locale. Operazione che, per alcuni, ha il sapore della “cancel culture” in salsa capitolina, e per altri è un atto dovuto di riscrittura civile. In entrambi i casi, la questione culturale finisce col passare in secondo piano rispetto a quella economica: quasi un milione di euro per arrivare a due nomi che, per molti passeggeri, restano comunque “quelli di prima”.
E qui sta la beffa più sottile: chi conosce Roma sa già che i cartelli nuovi potranno pure brillare, ma sulle bocche dei romani i nomi resteranno gli stessi di ieri. Il turista leggerà “Porta Metronia”, ma il tassista continuerà a dire “Amba Aradam”; il biglietto potrà recare “Colosseo”, ma l’anziano del quartiere parlerà ancora dei Fori Imperiali. In pratica, un investimento che non solo non migliora la viabilità, ma rischia pure di non cambiare davvero il linguaggio della città.
Così, mentre i turisti scenderanno alla stazione Colosseo convinti di non aver sbagliato meta, e i romani continueranno a chiamare Amba Aradam la nuova Porta Metronia per pura abitudine, resta la certezza che a Roma, per cambiare qualcosa, si spende molto. E per cambiare il necessario, quasi mai abbastanza. In fondo, è la magia dell’Urbe: qui un nome vale più di una strada sicura, e una buca può attendere… tanto non scappa.
Luisa Paratore
13/08/2025
Fonti: rodolfobosi.it; romatomorrow\.it; secoloditalia.it