Vai ai contenuti

PERIFERIE IN SALDO .....UNICREDIT VA IN VACANZA - ETTORE LEMBO NEWS

Salta menù
Title
Salta menù
Periferie in saldo:
quando Unicredit va in ferie
C’è un’agenzia in via Boccea che, con la nonchalance di  chi non ha nulla da dimostrare, ha deciso di chiudere per ferie. Non un trasloco, non una ristrutturazione, nemmeno una temporanea sospensione “per migliorare il servizio”. No, semplicemente ferie. E chi abita lì, tra la rotonda di Casalotti e la nuova costruzione di un centro di accoglienza che dovrebbe restituire dignità a chi arriva da lontano, scopre che i servizi essenziali, quelli che avvicinano la comunità alla vita economica quotidiana, possono sparire in un battito di ciglia. È un dettaglio che racconta molto più di quanto sembri. La periferia romana si riscopre periferia due volte: perché resta fuori dal cuore della città e perché diventa sempre più ai margini delle strategie economiche dei grandi colossi finanziari.

Non si tratta, sia chiaro, di una dimenticanza o di un episodio isolato. Unicredit, la più grande banca italiana, non ha mai nascosto la sua nuova visione: meno persone, meno sportelli, più digitale, più profitto. Il piano “Team 23”, presentato nel dicembre 2019, ha sancito ufficialmente ciò che negli anni era già in atto: 500 filiali chiuse in Europa, di cui 450 in Italia, e 8.000 dipendenti in meno. A voler essere pignoli, la parabola è iniziata molto prima. Nel 2007 Unicredit contava circa 174.000 dipendenti; nel 2018 erano già scesi a 86.000, quasi la metà. Ma non bastava: il nuovo piano ha voluto un ulteriore ridimensionamento. Così, mentre in periferia sparisce l’agenzia di fiducia, i manager brindano al “contenimento dei costi” e alle “nuove frontiere del digitale”. Certo, diranno, ci sono le app. Eppure, per una signora di settant’anni che deve riscuotere la pensione o per un piccolo commerciante che deve versare i contanti dell’incasso, la magia digitale somiglia più a una barriera che a una semplificazione. È il paradosso del progresso: rende la vita più facile a chi è già facilitato, e la complica a chi resta indietro.

È qui che il quadro si fa grottesco. Perché Unicredit, mentre pianifica migliaia di licenziamenti e chiusure, non è un’azienda in crisi che lotta per sopravvivere. Anzi. Nel 2019 ha chiuso i primi nove mesi con un utile di 4,3 miliardi di euro. Nel 2022, nonostante il contesto globale segnato dalla guerra in Ucraina, ha registrato un utile netto di 6,5 miliardi, il più alto degli ultimi dieci anni. Eppure, a fronte di profitti record, il lavoro viene trattato come un costo da limare. “Il lavoro non può essere considerato una merce”, ha dichiarato il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, definendo irresponsabile una strategia che abbatte posti di lavoro mentre gonfia i dividendi. Ma evidentemente, nella contabilità delle grandi banche, i bilanci hanno più valore delle persone.

Se chi lavora viene sacrificato, chi resta cliente non se la passa meglio. Anzi. Qui entra in scena un capitolo che meriterebbe di essere studiato nelle scuole come esempio di eleganza normativa: le “modifiche unilaterali”. L’art. 118 del Testo Unico Bancario concede alle banche il celebre ius variandi: la possibilità di modificare le condizioni del contratto da sole, senza bisogno di un accordo, purché ci sia un “giustificato motivo”. Non c’è negoziazione: arriva una lettera, due mesi di preavviso, e la nuova condizione è servita. Se non ti va, puoi sempre recedere. Tradotto: puoi accettare, oppure… accettare andandotene. Le clausole vessatorie, che dovrebbero essere vietate dal Codice del Consumo, restano tali solo sulla carta: per annullarle serve un giudice. E chi ha tempo, denaro e voglia di imbarcarsi in una causa contro un colosso bancario? Certo, c’è l’Arbitro Bancario Finanziario, istituito presso la Banca d’Italia. Un sistema alternativo, più rapido, più economico. Ma resta una procedura che pochissimi conoscono e che, soprattutto nelle periferie, diventa un lusso di consapevolezza. Intanto, la trasparenza è salva: i fogli informativi abbondano, chilometri di burocratese che nessuno legge e che pochi capiscono. La sostanza resta una: il cliente non contratta, il cliente subisce.

E allora il cerchio si chiude. Nelle periferie come via Boccea, la banca non è più presidio ma vuoto. Chiude l’agenzia, sparisce il personale, resta soltanto un cartello e un’app che sorride da uno schermo. Il cittadino diventa un numero da contabilizzare, non una persona da servire. Eppure le periferie sono i luoghi dove la prossimità conta di più. Dove il rapporto umano è ancora essenziale. Dove la signora Maria conosceva il direttore per nome e il piccolo artigiano trovava una porta a cui bussare. Tutto questo evapora, sostituito da codici OTP e chatbot automatici.

Mentre lo sportello di via Boccea si prende le ferie, a poche centinaia di metri sorge la nuova costruzione di un centro di accoglienza: paradosso dei paradossi, arrivano strutture per includere chi non ha nulla, ma sparisce chi dovrebbe servire chi già vive lì. È la geografia distorta delle nostre città: si apre per accogliere, si chiude per assistere. Il disegno complessivo è chiaro. La banca del futuro sarà digitale, snella, senza sportelli fisici, con meno dipendenti e più profitti. Ma questo modello, che funziona forse a Milano o a Monaco, in via Boccea e in tante altre periferie diventa esclusione sociale.

Il cittadino non sceglie: subisce le chiusure, subisce le norme, subisce i tassi. Il personale non negozia: subisce i tagli, subisce le pressioni, subisce gli stipendi ridimensionati. E mentre tutto questo accade, i bilanci celebrano la “crescita sostenibile”. Sostenibile per chi? Per gli azionisti, certo. Non certo per i quartieri che restano senza sportelli, né per i lavoratori che escono dalle agenzie con una lettera di esubero in tasca.

L’agenzia di via Boccea che chiude per ferie è un simbolo. Non di vacanza, ma di abbandono. Non di pausa, ma di resa. La banca non è più presidio ma vuoto. Non più presenza ma assenza. Non più ascolto ma algoritmo. È il trionfo del bilancio sul volto umano, la vittoria di un dividendo sul saluto del direttore, la sostituzione di una mano tesa con un codice OTP. E proprio nelle periferie questo vuoto fa più rumore. Perché dove la prossimità era ancora un collante sociale, oggi resta un’eco di silenzi. Forse un giorno scopriremo che le periferie non sono margini, ma centri vitali di comunità. Forse un giorno qualcuno ricorderà che le banche dovrebbero servire le persone, e non usarle come pedine di bilancio.

Nel frattempo, via Boccea aspetta. Il centro di accoglienza aprirà presto, ma la banca ha già chiuso. E quel vuoto, che pesa più di ogni serranda abbassata, resterà lì, in bella vista, a ricordarci che il futuro non sempre è progresso.

Perché oggi, più che mai, il vuoto sa essere rumoroso.

Luisa Paratore
Roma, 20/08/2025

Fonti in calce

UniCredit, Piano “Team 23”: 500 filiali chiuse e 8.000 esuberi – La Repubblica, 3 dicembre 2019: [link](https://www.repubblica.it/economia/2019/12/03/news/piano_unicredit_500_filiali_e_8_000_dipendenti_in_meno_al_2023-242483617/)

Dati storici su chiusure ed esuberi – Wikipedia UniCredit: [link](https://it.wikipedia.org/wiki/UniCredit)

Dichiarazioni sindacali e critiche CGIL – La Repubblica, 3 dicembre 2019: [link])

.
Torna ai contenuti