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LA NUOVA SFIDA DELLA SANITA' - ETTORE LEMBO NEWS

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La nuova sfida della sanità: Roma
e le 60 Case della Comunità entro il 2026

Mentre la città eterna continua a confrontarsi con le sue contraddizioni, i suoi cantieri infiniti e le sue periferie dimenticate, una piccola rivoluzione silenziosa si sta preparando a cambiare il volto della sanità di prossimità. Entro marzo 2026, Roma vedrà nascere sessanta nuove Case della Comunità, strutture concepite per avvicinare i servizi sanitari e sociali ai cittadini, renderli accessibili, umani, continuativi. Non più una sanità solo d’emergenza o specializzata, ma una medicina di ascolto, di accompagnamento, di prossimità. Quella che troppo spesso è mancata.

Ma cosa sono, in concreto, queste Case della Comunità? Sono luoghi fisici riconoscibili, presidi sanitari e socio-sanitari aperti a tutti, pensati per accogliere la complessità della vita quotidiana: dalla semplice visita medica all’assistenza psicologica, dalla prevenzione all’educazione sanitaria, fino al sostegno per le fragilità sociali. Un modello che riformula l’intero sistema sanitario territoriale, restituendo centralità al territorio e riducendo il ricorso improprio agli ospedali.

Il cuore pulsante di queste strutture sarà l’équipe multidisciplinare: medici di medicina generale, infermieri di famiglia e di comunità, pediatri, assistenti sociali, specialisti, psicologi. Una rete professionale che lavora insieme, finalmente, sotto lo stesso tetto. Il cittadino potrà entrare per una necessità, ma verrà preso in carico come persona. Si parla spesso di sanità umana, ma è solo se il sistema viene disegnato intorno alla vita quotidiana delle persone che queste parole assumono peso.

La Casa della Comunità è anche il punto unico di accesso per i servizi territoriali. Non è solo un ambulatorio, è un punto di riferimento permanente, un presidio fisico e simbolico contro la solitudine, la frammentazione, l’indifferenza. Per un anziano che non sa dove rivolgersi, per una madre che ha bisogno di un consulto rapido, per una persona fragile che chiede ascolto prima ancora che cura, rappresenta una soglia da varcare senza paura.

Eppure, mentre il disegno appare promettente, la realtà nazionale racconta un’altra verità: a metà 2025, solo una minima parte delle Case previste è realmente operativa. Le differenze territoriali sono abissali e la carenza di personale – soprattutto infermieristico – rischia di svuotare queste strutture prima ancora di riempirle di senso. Anche a Roma, la sfida sarà duplice: costruire i muri e, soprattutto, dare vita a ciò che dentro quei muri dovrà accadere.

La posta in gioco è altissima. Perché ogni Casa della Comunità che funzioni è un ospedale meno affollato, un cittadino meno abbandonato, un tessuto sociale che si ricuce. Perché la vera modernità, in un’epoca digitale, non è soltanto l’algoritmo che cura a distanza, ma la presenza concreta, quotidiana, calda. È un medico che ti guarda negli occhi, un’infermiera che ti conosce per nome, un’assistente sociale che ti accompagna fuori da una crisi. È una porta che si apre senza chiedere il codice fiscale prima ancora del buongiorno.

Il tempo stringe. L’Europa ha stanziato i fondi, l’Italia ha promesso risultati. Ma senza visione, competenza e coraggio, le Case della Comunità rischiano di diventare scatole vuote, grandi sogni edilizi disabitati dall’anima. Servono invece idee chiare, operatori motivati, amministratori lungimiranti. E soprattutto, serve ascoltare le comunità. Perché non basta costruire case: bisogna costruire fiducia.

Luisa Paratore
04(08/2025

Fonti: Corriere della Sera, 1 agosto 2025 – healthtech360.it – Consulcesi.it – nurse24.it – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Missione 6) – Ministero della Salute.
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