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PITAGORA - ETTORE LEMBO NEWS

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PITAGORA

NEWS > SETTEMBRE 2025
Pitagora: tra numeri sacri, legumi proibiti e marketing filosofico

Perché leggere di Pitagora oggi? Perché ridurlo al famoso teorema è come raccontare Mozart solo con “Fra Martino campanaro”. Questo articolo non è una lezione di matematica, ma un viaggio dentro un personaggio che mescolava filosofia, misticismo e regole bizzarre. Con ironia ma anche con rigore storico, ripercorriamo la vita di un uomo che vietava le fave ma pretendeva l’armonia dell’universo. Un modo leggero e curioso per scoprire quanto la filosofia antica sia ancora viva e sorprendentemente attuale.

Dopo Socrate, che amava la piazza e il confronto diretto con chiunque capitasse a tiro, arriva Pitagora: l’uomo delle regole severe, delle scuole chiuse agli iniziati e dei misteri che sapevano più di setta che di filosofia. Se il primo faceva delle domande la sua arma, il secondo preferiva imporre silenzi, riti e perfino il divieto di mangiare fave. Due stili opposti, eppure entrambi capaci di lasciare un segno indelebile nella storia del pensiero.

Di Pitagora tutti ricordiamo una cosa sola: il teorema. Quello del triangolo rettangolo che perseguita studenti di ogni età, trasformando notti serene in incubi pieni di cateti e ipotenuse. Eppure Pitagora non era solo un matematico: era un filosofo, un mistico, un viaggiatore, e – a detta di alcuni – un uomo che aveva un conto aperto proprio con le fave. Nato a Samo attorno al 570 a.C., figlio di Mnesarco e Partenide, decise presto che l’isola natale era troppo piccola per le sue ambizioni. Così partì in cerca di sapienza, toccando Egitto, Mesopotamia e forse persino l’India: praticamente il primo Erasmus ante litteram, ma senza voli low cost.

La sua vera svolta arrivò però a Crotone, fiorente città della Magna Grecia. Qui i commerci prosperavano, la medicina aveva una scuola prestigiosa e gli atleti dominavano ai Giochi olimpici. In questo scenario ricco di energia e prestigio, Pitagora trovò il terreno ideale per fondare la sua comunità filosofica: non un’accademia aperta, ma una sorta di confraternita con regole religiose, politiche e spirituali. Una scelta tutt’altro che casuale: se devi creare un movimento che unisce scienza, misticismo e disciplina, meglio farlo in un centro vitale e influente.

Non proprio un dopolavoro ricreativo: i membri vivevano secondo regole rigidissime. Dovevano osservare il silenzio, rispettare la segretezza, seguire un regime vegetariano e, soprattutto, non mangiare fave. Forse Pitagora aveva semplicemente un problema personale con questo legume, ma ai suoi discepoli bastava il divieto. La scuola distingueva tra acusmatici, ascoltatori semplici, e matematici, gli iniziati veri con accesso al backstage del sapere. Insomma, già allora esistevano le “classi VIP” della conoscenza.

Secondo Pitagora, i numeri non servivano solo a fare conti: erano l’essenza stessa della realtà. Un’idea potente, certo, ma anche un po’ inquietante: immaginate di guardare un albero e pensare “quanto è bello questo 7 travestito da quercia”. Tra i numeri più amati c’era la tetraktys, simbolo della perfezione. I discepoli arrivavano a giurare su questa figura geometrica, come oggi si giura sulla Costituzione. Forse con meno effetti pratici, ma sicuramente con più misticismo.

E veniamo all’elefante nella stanza: il teorema di Pitagora. Geniale, sì, ma noto già a Babilonesi e Indiani secoli prima. Pitagora però ebbe il colpo di genio che oggi definiremmo “branding”: riuscì a legare il suo nome a un teorema che esisteva da tempo. In poche parole, inventò la proprietà intellettuale prima che fosse di moda.

Non pago di legare numeri e geometria, decise che anche la musica fosse una questione matematica. Scoprì che le corde vibrano in rapporti semplici producendo intervalli armonici. Da lì a parlare di armonia delle sfere – l’idea che i pianeti stessi emettano una sorta di melodia cosmica – il passo fu breve. In pratica, il primo a immaginare Spotify… ma in versione interplanetaria.

Tra le dottrine più bizzarre, ma anche affascinanti, c’è la metempsicosi, la trasmigrazione delle anime. Secondo Pitagora, l’anima non muore mai, ma si reincarna in altri corpi: uomini, donne, animali. Celebre l’aneddoto in cui riconobbe l’anima di un amico nel lamento di un cane preso a calci. Non il massimo della leggerezza, ma sicuramente un modo originale di fermare la crudeltà sugli animali.

C’è però un piccolo particolare che rende Pitagora ancora più enigmatico: *non scrisse nulla*. Zero libri, zero trattati, neanche un appunto. Tutto ciò che sappiamo su di lui ci arriva da fonti successive, spesso tardo-antiche, intrise di leggende e aneddoti. È quindi difficile distinguere il filosofo reale dal mito: la sua fama non nasce da ciò che ha lasciato scritto, ma da ciò che gli altri hanno raccontato di lui. In pratica, Pitagora è la dimostrazione che si può diventare immortali anche senza bestseller.

Nonostante le ombre, lasciò un’impronta enorme. Platone e Aristotele ne furono influenzati, e secoli dopo anche Copernico e Keplero furono affascinati dall’idea che l’universo fosse scritto in linguaggio matematico. Alla fine, Pitagora non è solo l’incubo di milioni di studenti: è il simbolo di un sapere che prova a unire matematica, filosofia e spiritualità. Un uomo che vietava le fave, ma apriva l’universo.

Alla fine, Pitagora è rimasto immortale non tanto per il rigore dei suoi numeri, ma per l’abilità di trasformare la matematica in mito. Certo, ci ha lasciato un teorema che tormenta gli studenti da secoli, ma anche l’idea che il cosmo canti una melodia segreta fatta di rapporti numerici. Un’eredità luminosa, se non fosse per quel dettaglio sulle fave: forse l’unico punto su cui l’universo intero, dalle stelle agli studenti, si trova davvero d’accordo.

Luisa Paratore
Roma 04/09/2025
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