Palermo, 14enne muore con segni di violenza:
aperta un’inchiesta

Una ragazzina di quattordici anni è arrivata in ospedale in condizioni disperate. Vestiti impregnati di benzina, sul corpo segni evidenti che qualcosa non andava, forse da tempo. È morta poco dopo, lasciando una scia di silenzio e inquietudine che non può essere archiviata come l’ennesima tragedia privata. Perché quando muore una bambina, lo Stato ha il dovere di interrogarsi, e ognuno di noi con esso.
La madre e il suo compagno l’hanno portata al pronto soccorso, ma non sono bastati i tentativi di rianimazione. In sala emergenza, i medici non hanno potuto fare altro che constatare la gravità delle condizioni. E poi notare, con sgomento, dettagli che parlano senza voce: quegli abiti intrisi di liquido infiammabile, e quei segni sul corpo che fanno pensare a qualcosa di più di un malore.
È iniziata un’indagine, si attendono gli esiti dell’autopsia, la giustizia farà il suo corso. Ma prima ancora del codice penale, c’è un altro tribunale che si accende: quello della coscienza collettiva. Perché ogni volta che una giovane vita si spezza così, dobbiamo chiederci dov’eravamo noi. Noi, che spesso preferiamo non vedere. Noi, che ci commuoviamo quando è troppo tardi. Noi, che chiediamo giustizia senza chiederci davvero come funziona il sistema che dovrebbe proteggerli, questi ragazzi e ragazze invisibili.
Era una bambina fragile, con una malattia neurologica che rendeva la vita quotidiana più difficile di quanto già non sia per una ragazza della sua età. Una di quelle fragilità che non sempre si vedono a occhio nudo, ma che andrebbero sostenute, accompagnate, monitorate. Perché c’è una linea sottile, sottilissima, tra la cura e l’abbandono, tra il vivere in una casa e il sopravvivere in una gabbia. E quando un minore muore in circostanze così oscure, non basta voltarsi dall’altra parte. Bisogna ascoltare il rumore sordo del fallimento sociale che risuona tra quelle mura familiari.
La madre, il compagno, il padre biologico: sono stati tutti ascoltati dalla polizia. Ma chi ha ascoltato davvero lei, prima? Quali adulti l’hanno vista per quello che era: una ragazzina, con i suoi silenzi, le sue paure, forse i suoi segnali d’allarme che nessuno ha decifrato?
La verità giudiziaria arriverà, forse. Ma la verità umana, quella che non sempre si scrive nei verbali, è già davanti ai nostri occhi: viviamo in un tempo in cui i più piccoli sono esposti, soli, vittime silenziose di una società distratta, più brava a parlare di bambini che a proteggerli davvero. Si parla di disagio, di periferie dimenticate, di nuclei familiari disfunzionali, di mancanza di servizi, di scuola che non intercetta, di sanità che non accompagna. Tutto vero. Ma tutto inutile se, accanto a ogni bambino, non mettiamo prima di tutto uno sguardo vigile, una mano tesa, una voce che sappia chiedere: “Va tutto bene davvero?”
Non possiamo sapere oggi cosa sia accaduto davvero, ma possiamo decidere da che parte stare. Possiamo scegliere di non archiviare la notizia tra le curiosità morbose di cronaca nera. Possiamo decidere che questa ragazza non sia solo un nome tra le statistiche, ma una ragione per fermarci, indignarci e agire.
Forse era solo una malattia. Forse no. Ma finché il dubbio resta, il nostro dovere è continuare a guardare in faccia la realtà, anche quando è scomoda. Anche quando ci inchioda alle nostre responsabilità di adulti.
Perché il dolore di una bambina dimenticata non può essere cancellato con una riga di silenzio.
Luisa Paratore
28/07/2025
Fonti consultate:
AGI – “Muore 14enne a Palermo, sul corpo segni di violenza”
RaiNews – “Aperta inchiesta su morte di una 14enne a Palermo”
Corriere della Sera – “Palermo, giallo sulla morte di una quattordicenne”
Sky TG24 – “14enne muore a Palermo: segni violenza e benzina sui vestiti”
Il Fatto Nisseno – “Palermo, bambina di 11 anni morta con vestiti zuppi di benzina e segni di violenza: aperta inchiesta”