Incredibile ma vero,
l’armata Brancaleone moderna schiera
i suoi sette pesi massimi per
scortare a Washington il compagno di merenda.

Un corteo di luminari
che, a giudicare dai proclami, dovrebbe far tremare i destini del
mondo.
Ma,
si sa, la memoria è corta: dimentichiamo con leggerezza la Strage di
Vergarolla a Pola.
Rimaniamo
esterrefatti, eppure dobbiamo piegarci alla narrazione ufficiale che
si consuma in Italia e in Europa, leggendo che domani, nella capitale
americana, i sette “pesi massimi” – così definiti da qualche
fonte benevola – accompagneranno Zelensky davanti a Trump, come se
l’udienza papale fosse già stata concessa.
Hanno dato la
loro adesione, a quanto pare, dopo l’ennesima videoconferenza dei
“Volenterosi”, coloro che si oppongono alle possibili concessioni
territoriali di Zelensky a Mosca che Trump potrebbe accarezzare. E
così, ecco i magnifici sette che si imbarcheranno con il leader
ucraino: Von der Leyen, Macron, Starmer, Meloni, Merz, Stubb e Rutte.
Un quadretto che,
per simpatica allegoria, richiama alla memoria proprio “L’Armata
Brancaleone”: quel manipolo di derelitti, goffi e disorganizzati,
lanciati in un’impresa più grande di loro, convinti di poter
scrivere la storia quando a malapena riescono a reggere la penna.
Come non
ricordare il film di Monicelli, parodia di un Medioevo grottesco,
dove Brancaleone da Norcia, cavaliere per caso, guida una compagnia
di disperati verso un feudo promesso. Una promessa, appunto: parola
che in politica europea sembra valere più di qualunque realtà.
Eppure i titoli
delle agenzie parlano chiaro. “Zelensky a Bruxelles: per l’Ucraina
è impossibile cedere territori”, titola l’ANSA, riportando le
parole del leader ucraino: “Abbiamo bisogno di garanzie di
sicurezza che funzionino, come l’articolo 5 della Nato. La Russia
non può darne”. E ancora: “L’Europa deve rimanere unita come
nel 2022”. Dichiarazioni solenni, certo. Peccato che l’Ucraina
non faccia parte né della NATO né dell’Europa. Dettaglio minore,
che però non disturba la retorica.
Zelensky rincara:
“Putin non è riuscito a conquistare la regione di Donetsk in 12
anni, e la Costituzione ucraina rende impossibile cedere territori”.
Parole che lasciano attoniti: non foss’altro perché negli ultimi
anni abbiamo sentito che i russi erano in rotta, che Putin era
morente e che l’Ucraina, foraggiata dai Magnifici7, era vittoriosa.
Assunti che il tempo ha puntualmente smentito.
Intanto la Russia
non ha minimamente accennato a un incontro trilaterale con USA e
Ucraina. Ma dopo il vertice del 15 agosto tra Trump e Putin, il
Presidente americano, con sorprendente senso di responsabilità e
forse persino con desiderio di pace reale e non di facciata, ha
convocato Zelensky.
In questo
scenario, la posizione del codazzo dei “Magnifici7” appare quanto
mai curiosa, se non tragicomica: un corteo che segue il condottiero
ucraino come i figuranti dietro a Brancaleone.
A questo punto è
lecito domandarsi: siamo formalmente alleati dell’Ucraina, quindi
direttamente in guerra con la Russia? Con quale titolo partecipiamo a
incontri che dovrebbero portare a un trattato di pace? E,
soprattutto, a fronte delle enormi spese e dei rischi che gravano sui
nostri popoli, quale contropartita reale ci è stata promessa? Se
Mosca non accetta né l’intervento europeo né i nostri
inconcludenti diktat, che faremo?
Ecco perché il
richiamo al film del 1966 non è soltanto un vezzo culturale, ma una
perfetta chiave di lettura.
Peraltro, non
risulta che l’Europa mantenga una posizione neutrale, e questo non
giova certo alla sua credibilità. Putin, nell’incontro del 15
agosto, lo ha detto chiaramente.
Noi italiani,
intanto, oltre a essere esposti con un sostegno incondizionato e
dissennato, abbiamo assistito alle uscite della più alta carica
dello Stato, che all’estero ha già espresso tre volte posizioni di
aperta ostilità verso Mosca. Il Cremlino, prevedibilmente, ha preso
nota.
A rendere il
quadro più grottesco contribuisce Macron, paladino della retorica
bellicista, che annuncia incontri a quattro tra Usa, Mosca, Kiev ed
Europa. L’Europa? Quale Europa?
Von der Leyen
rincara con una prosa che rasenta l’epica fantasy: “L’Ucraina
deve diventare un porcospino d’acciaio che i potenziali aggressori
non possano digerire”. Un’immagine degna di Tolkien, peccato che
le conseguenze non saranno un romanzo ma la realtà geopolitica.
Le tensioni tra
Kiev e Mosca sono note da anni, e l’Europa ha sempre finto di non
vedere. Ma oggi, improvvisamente, l’Ucraina – che non è europea
né alleata NATO – diventa il cuore pulsante della nostra politica
estera.
Così apprendiamo
che la Premier Giorgia Meloni volerà a Washington per il vertice
Trump–Zelensky. Ancora una volta: a che titolo?
Eppure, mentre ci
perdiamo in questo teatrino internazionale, domani ricorre
l’anniversario della Strage di Vergarolla. Il 18 agosto 1946, a
Pola, l’esplosione di materiale bellico uccise oltre cento persone,
un terzo delle quali bambini. Un massacro rimosso troppo in fretta,
quando l’Istria era già rivendicata dalla Jugoslavia di Tito e
Pola amministrata dalle truppe britanniche.
Un fatto che
avrebbe dovuto insegnarci molto sugli effetti devastanti della guerra
e sulla leggerezza con cui gli interessi dei popoli vengono
calpestati. E invece eccoci qui, pronti a difendere a spada tratta
terre e popoli altrui, ma incapaci di ricordare le tragedie che hanno
segnato i nostri confini e la nostra storia.
Forse, prima di
indossare l’armatura e seguir Brancaleone verso un feudo promesso,
il Primo Ministro dovrebbe fermarsi a riflettere: a chi stiamo
davvero giovando? E a quale prezzo stiamo mettendo a rischio il
nostro popolo?
Ettore Lembo
Roma 18/08/2025