Suicidio in carcere:
+tra obblighi di tutela e vuoti di giustizia

La porta di ferro si chiuse alle sue spalle con un rumore secco. Nella cella della Casa Circondariale di Messina – Gazzi la luce entrava fioca, spezzata dalle sbarre. Stefano Argentino — condannato per l’omicidio di Sara Campanella — era stato considerato a rischio suicidario e, per un periodo, sottoposto a “grande sorveglianza”. Poi quella misura era stata revocata, come se il pericolo fosse scomparso. Nulla lasciava presagire che, di lì a poco, avrebbe posto fine alla propria esistenza.
Il 6 agosto 2025, il suo corpo è stato trovato privo di vita. Con lui, si è chiuso anche il procedimento penale che lo vedeva imputato. Per la famiglia di Sara, la vittima, è stata la seconda perdita: la prima sul selciato di un delitto, la seconda nelle carte di un processo estinto per “mors rei”.
Quali obblighi ha lo Stato verso chi è privato della libertà? La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’articolo 2, impone di tutelare la vita di chi è sotto custodia. In carcere questo significa predisporre misure per prevenire il suicidio, monitorare le condizioni psicologiche, intervenire con assistenza sanitaria e psicologica. In Italia, l’articolo 23 del DPR 230/2000 prevede la valutazione del rischio e la possibilità di attivare sorveglianza speciale o reparti dedicati.
Cosa accade quando queste misure non vengono applicate o sono insufficienti? La giurisprudenza ha più volte riconosciuto la responsabilità dell’amministrazione penitenziaria. Nel caso di un detenuto messinese, Citraro, morto suicida sempre nella Casa Circondariale di Messina – Gazzi, i genitori ottennero un risarcimento di circa 32.900 euro per mancata prevenzione. La Cassazione ha ribadito che l’omessa vigilanza in presenza di segnali di rischio costituisce colpa grave da parte dello Stato.
Perché chi ha commesso un crimine può lasciare ai familiari un diritto al risarcimento, mentre chi l’ha subito spesso non ha alcun ristoro? Il reo confesso di un femminicidio può garantire, con la propria morte in carcere, una possibile azione risarcitoria ai suoi eredi. La famiglia della vittima, invece, si trova di fronte a un processo estinto e a un fondo statale che eroga somme modeste, lontane dal riconoscimento di un vero danno.
Si può parlare di giustizia quando le tutele sono così sbilanciate? Il principio di umanità della pena non è in discussione: lo Stato deve proteggere anche chi è colpevole di gravi reati. Ma l’equilibrio si spezza quando la vittima viene doppiamente colpita, prima dall’atto criminale e poi dalla mancanza di strumenti per ottenere giustizia.
Quante vite ancora dovranno spegnersi dietro le sbarre prima di un intervento strutturale? Nel 2023 si sono registrati 69 suicidi in carcere; nel 2022 erano stati 84. Nei primi mesi del 2024 la proiezione superava i 140 casi annuali. Sovraffollamento, scarsità di psicologi ed educatori, reparti inadeguati e celle prive di sorveglianza continua rendono difficile ogni prevenzione.
Come conciliare il diritto alla vita di chi sconta una pena con quello alla giustizia di chi l’ha subita? La risposta non può essere scegliere tra l’uno o l’altro. Serve una riforma capace di rafforzare la prevenzione del suicidio in carcere con personale formato e protocolli efficaci, ma anche di garantire un reale sostegno alle famiglie delle vittime, ampliando fondi e possibilità di accesso.
Fino a quel momento, resterà evidente la sproporzione di uno Stato che interviene per riconoscere un risarcimento ai familiari di un detenuto suicida, ma lascia con poche tutele e ristori minimi le famiglie delle vittime. È in questo squilibrio che si misura la distanza tra ciò che la legge garantisce e ciò che la giustizia dovrebbe assicurare. Colmare questo vuoto non significa negare diritti a chi è in custodia, ma garantire pari dignità a chi ha subito la perdita più irreparabile. Ogni giorno senza un cambiamento è un giorno in cui il dolore delle celle e quello delle famiglie delle vittime continuano a non trovare risposta.
Luisa Paratore
11/08/2025
Fonti:
Adnkronos, “Stefano Argentino, killer di Sara Campanella, suicidio e indennizzo: perché è un’ipotesi”, 8 agosto 2025.
Ministero della Giustizia, Dati statistici annuali sul sistema penitenziario, 2022-2024.
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Art. 2.
DPR 230/2000, Art. 23.
Sentenza Corte di Cassazione, sez. III civile, n. 23469/2016.