Europa assente alla pace,
presente al conflitto!

Il
15 agosto Trump
e Putin
siederanno faccia a faccia in Alaska
per trattare la pace. Il mondo intero trattiene il respiro, mentre
l’Europa,
assente come
entità politica e schierata senza riserve, continua
a gettare benzina sul fuoco,
dimostrando – nei fatti – di non volere davvero la pace.
La
scelta della sede non è affatto casuale: l’Alaska, oggi Stato
americano, fu territorio Russo fino al 1867, quando l’Impero
Zarista la vendette agli Stati Uniti per 7,2 milioni di dollari. Un
retroscena storico che, secondo Nigel Gould-Davies, ricercatore
associato della Chatham House e citato dall’agenzia Associated
Press, “favorisce naturalmente la Russia”. È facile immaginare
Putin sottolineare: «Una volta questo territorio era nostro e ve
l’abbiamo dato; l’Ucraina aveva questo territorio e ora dovrebbe
restituircelo».
Si
stanno battendo tutte le strade per trovare un accordo tra USA e
Russia che ponga fine alla guerra russo-ucraina, un conflitto che
appare sempre più come una guerra voluta e combattuta per procura da
Washington, la quale, secondo molti osservatori, avrebbe spinto la
Russia all’invasione dell’Ucraina. Un’Europa volutamente e
farsescamente “distratta”, forse inesistente come Stato, ha
lasciato correre, guardando altrove.
Un’invasione
innescata dal predecessore dell’attuale presidente USA, con la
complicità di un’élite europea che si è immediatamente schierata
contro Mosca, scegliendo di alimentare le fiamme anziché agire da
argine per evitare il disastro che si è puntualmente verificato.
Le
scelte del governo italiano, probabilmente non immuni da pressioni o
interessi extranazionali, invece di favorire un dialogo vero, hanno
consolidato un posizionamento netto a favore dell’Ucraina.
A
peggiorare la situazione, la più alta carica istituzionale italiana,
negli ultimi mesi – per almeno tre volte, e in contesti
internazionali all’estero – ha pronunciato dichiarazioni
avventate contro la Russia e il suo presidente. Parole che hanno
fatto sobbalzare storici, sociologi e diplomatici, preoccupati per
una frattura ancora più profonda in rapporti già logorati.
In
diplomazia, una parola di troppo può pesare come una condanna.
Le
reazioni da Mosca non si sono fatte attendere: “piccate” ma
“pacate”, secondo lo stile della burocrazia russa. In Italia,
invece, non sono mancati gli interventi a difesa dell’autore di
quelle frasi, spesso più dettati da automatismo politico che da
convinzione reale.
Non
bisogna dimenticare che, nei numerosi convegni sulla pace, i
capigruppo di tutti i partiti hanno sempre ostentato una retorica
pacifista, senza però mai tradurla in un’azione parlamentare
concreta e condivisa.
In
questo contesto, la proposta di Trump di indicare “Roma” come
sede per un tavolo di trattative di pace con lui e Putin ha assunto
la forma di una provocazione calcolata.
Le
criticità di una simile scelta erano talmente evidenti da risultare
lampanti a chiunque avesse un minimo di conoscenza storica o
geopolitica. Era impossibile che accadesse.
Eppure,
sorprende che tale provocazione non sia stata soppesata con la dovuta
attenzione da diplomatici, consulenti militari e funzionari preposti
a organizzare incontri di simile portata.
Questa
superficialità ha messo in luce un’imbarazzante impreparazione,
aggravata dal fatto che il governo italiano si sia affrettato a
offrire la propria disponibilità senza una reale strategia.
Chi
si propone senza calcolare le conseguenze rischia di compromettere la
propria credibilità.
Il
rifiuto immediato di Putin era, in fondo, scontato: per la Russia,
l’Italia è ormai un Paese “ostile”, per posizioni politiche e
dichiarazioni ufficiali.
Persino
Papa Leone XIV
ha offerto il Vaticano – e non Roma o la Città del Vaticano –
come sede per negoziati sulla guerra in Ucraina, con la
consapevolezza di quanto la neutralità sia oggi un bene raro.
Il
Pontefice ha ribadito che la Santa
Sede è pronta a
offrire un luogo neutrale di dialogo, ma è ben consapevole che su
Putin pende un mandato di cattura per crimini contro l’umanità
emesso dal Tribunale Internazionale dell’Aia, riconosciuto dallo
Stato italiano ma non da USA, Russia e altri Stati di rilievo.
E
allora, se Putin avesse accettato Roma o un’altra città italiana,
cosa sarebbe successo?
Avremmo
arrestato Putin?
Il
caso Almasri,
che in questi giorni riempie le cronache, pur riguardando una
delicata “Ragion di Stato”, sembra non aver insegnato nulla a chi
avrebbe dovuto apprendere la lezione.
Chi
non impara dalla storia è destinato a riviverla.
Sorge
il sospetto che l’Italia, ancora una volta, sia stata usata, forse
per “bacchettare” il governo (e chiedersi se sia mai esistita
un’amicizia tra Merloni e Trump, come qualcuno ha insinuato, è
ormai lecito) e per mandare un segnale a un’Europa che, pur
fortemente schierata, resta priva di una vera voce in capitolo.
In
questa stessa Europa, ancora una volta, il presidente francese è
stato richiamato con durezza da Trump per proclami giudicati
inaccettabili.
Non
sorprende quindi se i Paesi europei, con ogni probabilità, non
saranno nemmeno invitati e, se qualcuno lo sarà, il suo peso resterà
irrilevante.
Anzi,
oggi i governi europei si stanno mobilitando per bloccare ogni
ipotesi di accordo di pace che comporti la cessione di territori
ucraini senza il benestare di Kiev, come riportano le agenzie.
“Kiev
apprezza e sostiene la dichiarazione dei leader europei”, ha
dichiarato il presidente ucraino, citando Macron,
Meloni,
Merz,
Tusk,
Von der Leyen,
Stubb
e Starmer.
La
risposta di Medvedev
non si è fatta attendere: accusa gli europei di intralciare ogni
tentativo di risoluzione e rincara la dose affermando: “Mentre gli
euroimbecilli
cercano di impedire gli sforzi americani per risolvere il conflitto
ucraino, il regime agonizzante di Bandera (l'Ucraina, ndr) recluta in
preda al panico sul fronte i più vili rifiuti dell'umanità”.
Parole
durissime? Forse sì. Ma la vera domanda è: quante volte ci siamo
chiesti perché l’élite europea – e, per quanto ci riguarda, il
Governo Italiano – non parli mai di pace e continui invece a
fornire armi?
Ettore
Lembo
11/08/2025